Oltre il collasso – Franco «Bifo» Berardi

L’umano perde la sua centralità in un processo caotico, non ci dovremmo disperare per questo. Al contempo, però, non dovremmo cercare conforto nelle illusioni di un aggiustamento tecnico della situazione

di: Franco «Bifo» Berardi

Pubblichiamo un estratto dal libro Fenomenologia della fine di Franco “Bifo” Berardi, edito da Nero Edition nella collana Not. Ringraziamo l’editore per la possibilità concessa.

 

 

 

Tutt’a un tratto quel che abbiamo pensato negli ultimi cinquant’anni deve essere ripensato da capo.

Grazie a Dio (che Dio sia un virus?) abbiamo una quantità di tempo libero adesso perché il vecchio business è out of business.

Voglio dire alcune cose su tre distinte questioni. La prima è la fine della storia umana che si sta evidentemente dispiegando sotto i nostri occhi. La seconda è l’emancipazione dal capitalismo iscritta come possibilità nelle conseguenze del blocco dell’economia, e il pericolo imminente del tecnototalitarismo. La terza è il ritorno della morte sulla scena del discorso filosofico, dopo la lunga rimozione moderna, ora che il corpo riemerge come dissipazione.

CREATURINE

La persona che ha meglio anticipato l’apocalisse virale in corso è la filosofa Donna Haraway.

In Chthulucene, Haraway suggerisce che l’agente dell’evoluzione non è più l’uomo soggetto della storia.

L’umano perde la sua centralità in questo caotico processo, e non ci dovremmo disperare per questo come fanno certi nostalgici dell’umanesimo moderno. Al contempo, però, non dovremmo cercare conforto nelle illusioni di un aggiustamento tecnico della situazione come fanno certi transumanisti tecnomaniaci.

La storia umana è in dissolvenza e gli agenti dell’evoluzione sono ora i «critters», per dirlo con Haraway. La parola critter significa «animaletti», piccole giocose creature che fanno strane cose, come provocare mutazioni. Per l’appunto: virus.

Burroughs parlava dei virus come agenti della mutazione biologica, culturale, linguistica…

I critters non esistono come individui. Si diffondono in modo collettivo, secondo un processo di proliferazione.

L’anno 2020 andrebbe visto come l’anno in cui la storia umana si dissolve, non perché gli esseri umani scompaiono dal pianeta Terra, ma perché il pianeta Terra, stanco della loro arroganza, lancia una microcampagna per distruggere la loro Volontà di Potenza.

La Terra si ribella contro il mondo, e gli agenti del pianeta Terra sono: uragani, alluvioni, incendi e soprattutto critters.

Agente dell’evoluzione non è più il cosciente aggressivo e volitivo essere umano, ma la materia molecolare, microflussi di critters incontrollabili che invadono lo spazio della produzione e del discorso, sostituendo la History con la Herstory, nel tempo in cui la Ragione teleologica viene sostituita dalla sensibilità e dal sensuale divenire caotico.

L’umanesimo si fonda sulla libertà ontologica che i filosofi italiani del primo Rinascimento identificano con l’assenza di un determinismo teologico. Non è la volontà di Dio che governa la storia del mondo, ma la volontà umana. Questo è il pensiero della modernità. Un determinismo teleologico (il determinismo delle finalità volontarie) ha sostituito il determinismo teologico della civiltà teocratica. Ecco che ora anche il determinismo teleologico (il predominio della volontà umana) sembra finire, e il virus prende il posto della teleologica volontà cosciente dell’umanesimo.

La fine della soggettività come motore del processo evolutivo implica la fine di quella che abbiamo chiamato Storia con la esse maiuscola, e comporta l’inizio di un processo in cui la teleologia cosciente è sostituita da molteplici strategie di proliferazione.

La proliferazione, la diffusione di processi molecolari, sostituisce la Storia come macroprogetto.

Il pensiero, l’arte, la politica non sono più da vedere come progetti di totalizzazione (nel senso hegeliano di Totalisierung), ma come processi di proliferazione senza totalità.

UTILE

Dopo quarant’anni di accelerazione neoliberale, la corsa del capitalismo finanziario si è improvvisamente incagliata. Uno, due, tre mesi di lockdown globale, una lunga interruzione del processo di produzione e circolazione delle persone e delle merci, un lungo periodo di autoreclusione, la tragedia della pandemia… Tutto questo è destinato a rompere la dinamica capitalista in modo irrimediabile, irreversibile. I poteri che gestiscono il capitale globale a livello politico e finanziario stanno disperatamente tentando di «salvare l’economia», iniettando somme enormi di denaro. Miliardi di miliardi di miliardi… Numeri, cifre che tendono a significare: zero.

A un tratto il denaro conta niente, o molto poco.

Perché dare denaro a un corpo morto? Puoi restituire vita al corpo dell’economia globale iniettando denaro? Non puoi. Il punto è che sia il lato dell’offerta sia il lato della domanda sono ora immuni agli stimoli monetari, perché il crollo non avviene per ragioni finanziarie (come nel 2008), ma per il collasso dei corpi, e i corpi non hanno niente a che fare con lo stimolo finanziario.

Stiamo superando la soglia oltre il ciclo lavoro-denaro-consumo.

Quando un giorno speriamo prossimo il corpo verrà fuori dal confinamento della quarantena, il problema non sarà il riequilibrio della relazione tra tempo, lavoro e denaro, della relazione tra debito e pagamento del debito. L’Unione Europea è stata fratturata dalla sua ossessione per la parità di bilancio, ma la gente muore, gli ospedali restano senza materiale sanitario e ventilatori, e i medici sono sopraffatti dalla fatica, dall’ansia, dalla paura dell’infezione. E questo non si può scambiare con denaro, perché il denaro non è il problema. Il problema è: quali sono i nostri bisogni concreti? Cosa è utile per la vita umana, per la collettività, per la terapia?

Il valore d’uso, espulso da lungo tempo dal campo dell’economia, è di nuovo al centro della scena: l’utile è Re.

Il denaro non ci può comprare il vaccino che non abbiamo scoperto, non può comprare le mascherine che non sono state prodotte, non può comprare le unità di terapia intensiva che sono state distrutte dalla riforma neoliberale del sistema sanitario in Europa.

Così il denaro è impotente. Solo la solidarietà sociale e l’intelligenza scientifica sono vive e possono diventare politicamente potenti. Per questo credo che alla fine della quarantena globale non torneremo alla normalità. La normalità non tornerà mai, non deve tornare. Il ritorno alla normalità sarebbe la peggiore delle disgrazie, perché preparerebbe nuovi collassi sempre più gravi.

Quel che accadrà nel dopo non è predeterminato, e non è predicibile.

Abbiamo di fronte infatti innumerevoli possibilità, per quanto io vedo due grandi alternative: o un ritorno alla normalità capitalistica imposta con la forza di un sistema tecnototalitario o la fuoriuscita dalla continuità della norma, la liberazione dell’attività umana dall’astrazione capitalista e la formazione di una società molecolare fondata sull’utilità.

Il governo cinese sta sperimentando su scala massiccia una forma di capitalismo tecnototalitario. Questa soluzione, anticipata dall’abolizione temporanea della libertà individuale può diventare il sistema dominante del prossimo futuro, come Agamben ha sostenuto in alcuni suoi testi controversi. Ma quel che dice Agamben è solo un’ovvia descrizione di ciò che emerge dal presente, e dal futuro probabile.

Io vorrei andare oltre il probabile, perché il possibile mi interessa di più.

Il possibile è contenuto nel crollo della potenza dell’astrazione, e nel ritorno drammatico del corpo concreto come portatore di bisogni concreti.

L’utile, lungamente dimenticato e rimosso dal processo capitalistico di valorizzazione astratta, ora è tornato al centro del campo sociale.

Il cielo è chiaro, in questi giorni di quarantena, l’atmosfera è libera dai particolati velenosi, perché le fabbriche sono chiuse e le auto non possono circolare. Torneremo all’inquinante economia estrattiva? Torneremo alla frenesia della distruzione per l’accumulazione di astratto, all’inutile accelerazione finalizzata ad accumular denaro? No, dobbiamo andare avanti, verso la creazione di una società fondata sulla produzione dell’utile.

Quel che rimane del potere capitalistico tenterà di sopravvivere imponendo un sistema tecnototalitario; questo è prevedibile.

Ma l’alternativa è ora visibile: una società libera dalla compulsione dell’accumulazione e della crescita economica.

PIACERE

Il terzo punto su cui voglio riflettere è il ritorno della mortalità come carattere che definisce l’umano. Il capitalismo è stato un fantastico tentativo di oltrepassare la morte, di liberarsene.

L’accumulazione è il surrogato che sostituisce la morte con l’astrazione del valore, la continuità artificiale della vita nel mercato.

Il passaggio dalla produzione industriale all’infolavoro, il passaggio alla congiunzione, alla connessione nella sfera comunicativa: questo è il punto di arrivo della corsa verso l’astrazione, che è la tendenza principale dell’evoluzione capitalista.

Nella pandemia la congiunzione è proibita: stai a casa, non visitare amici, tieni la distanza, non toccare nessuno. È in corso un’espansione enorme del tempo che passiamo online, inevitabilmente, e tutte le relazioni – di lavoro, di produzione, di educazione – sono state trasferite in questa sfera che impedisce la congiunzione. Lo scambio sociale offline non è più possibile. Cosa accadrà dopo alcuni mesi così?

Forse, come predice Agamben, entreremo in un inferno totalitario di vita integralmente connettiva. È probabile. Ma è possibile un altro scenario.

Facciamo l’ipotesi che il sovraccarico di connessione rompa in un certo senso l’incantesimo. Quando la pandemia si dissolverà (se si dissolverà) è possibile allora che si verifichi un’identificazione psicologica: online significherà malattia. Si creerà allora un movimento di accarezzamento che spingerà i ragazzi a spegnere gli schermi connettivi come ricordo di un tempo solitario e angoscioso. Questo non vuol dire che dobbiamo tornare alla fatica fisica del tempo industriale, ma che dobbiamo imparare a raccogliere il frutto della ricchezza che l’automa libera per noi: il tempo, il piacere, il godimento.

La diffusione di morte che abbiamo conosciuto in questi giorni può restituirci il senso del tempo come godimento piuttosto che come rinvio della gioia. Utile e godimento possono vivere insieme, accumulazione e godimento sono incompatibili.

Dopo mesi di connettività forse la gente uscirà dalle sue stamberghe alla ricerca di congiunzione. Un movimento di solidarietà e di tenerezza potrebbe svilupparsi, e potrebbe condurre gli umani a emanciparsi dalla dittatura connettiva.

La morte è tornata al centro del panorama: la coscienza della mortalità lungamente rimossa che rende vivi gli umani.