Il tempo e lo specchio – Michelangelo Pistoletto

L’incontro fra artificio, inteso come techne, e natura, ha messo in moto tutti i sistemi funzionali alla società, producendo le convenzioni che le fanno da guida. La ripartizione del tempo è una di queste

di: Michelangelo Pistoletto

Pubblichiamo un estratto dal nuovo libro di Michelangelo Pistoletto, La Formula della Creazione, edito da Cittadellarte Edizioni. In 31 passi, l’autore racconta il percorso umano e artistico che lo ha portato a definire la Formula della Creazione. Da lui stesso chiamata anche Formula della Vita. Il libro – curato da Chiara Belliti e Ruggero Poi – dà l’opportunità di riconsiderare i cardini dell’esistenza umana e chiama a una nuova responsabilità sociale ed ecologica. Ringraziamo l’editore per la possibilità concessa.

 

 

 

I. La quarta dimensione
L’effettiva rivoluzione del mio lavoro è avvenuta attraverso un cambiamento strutturale che non ha precedenti. Il Quadro specchiante incorpora infatti integralmente la quarta dimensione.
In esso la superficie piatta che comprende le immagini riportate e quelle specchiate è misurabile nelle dimensioni dell’altezza e della larghezza, quindi l’opera è ovviamente bidimensionale. La figura, isolata nello spazio profondo dello specchio che la circonda, assume un rilievo tridimensionale, ma la dimensione complessiva dell’opera, che ingloba le precedenti, è la quarta dimensione, cioè la dimensione tempo.

Il Quadro specchiante ha la facoltà di introdurre nella concezione tradizionale dell’opera d’arte pittorica il tempo, che noi codifichiamo in istanti, ore, giorni, mesi, anni, secoli e millenni. Tutto ciò entra nel Quadro specchiante.
Dunque nell’opera vediamo il verificarsi di quel fenomeno che comunemente chiamiamo tempo.

Gli artisti che in passato hanno affrontato il tema del tempo, come ad esempio i futuristi, lo hanno sempre trattato in modo descrittivo, e non lo hanno esibito direttamente nel suo manifestarsi. L’unico precedente di tempo reale in arte è il Grande vetro di Marcel Duchamp che, consentendo di vedere attraverso la lastra trasparente le persone e le cose che si muovono, lascia dedurre il tempo che scorre.

Diversamente dal Quadro specchiante, però, il Grande vetro non incorpora in tempo reale né l’artista né lo spettatore: Duchamp, per vedersi nell’opera, è ricorso allo stratagemma di farsi fotografare dietro al vetro. E questo ha determinato un “ritardo” rispetto all’immediata presenza nell’opera da parte di chi la fruisce.
Nel Quadro specchiante sia l’autore che lo spettatore partecipano all’avvenimento temporale, direttamente, in quanto sono presenti, e lo possono essere in qualsiasi momento, all’interno dell’opera. Si trovano così inseriti in pieno nella fenomenologia temporale.
Anzi, la persona che osserva il quadro ne diventa perno centrale.

La cosa davvero rimarchevole è che non solo lo spettatore è parte dell’opera con l’immagine di sé, ma lo è anche fisicamente. Lo specchio, infatti, ci mette di fronte a tutto quello che ci sta dietro. Lo spettatore, guardando il quadro, vede davanti a sé ciò che è alle sue spalle. Gli basterebbe fare dei passi indietro per vedersi contemporaneamente avanzare all’interno dello specchio. Il Quadro specchiante mette gli occhi anche dietro alla nuca. La prospettiva diventa duplice, sia frontale che retroversa. Pur non spostandosi fisicamente, la persona può muovere lo specchio intorno a sé e trovarsi al centro di tutte le possibili direzioni riflesse nello specchio.
Essa quindi è, con il proprio corpo, il fulcro di una prospettiva sferica che gli si estende intorno all’infinito, sia nello spazio che nel tempo.

Nel Quadro specchiante noi siamo testimoni di noi stessi e, contemporaneamente, testimoni dell’intero esistente. Quest’opera rende l’Uomo specchio di sé stesso e specchio dell’Universo. È la rappresentazione della vita di cui siamo parte integrante. Rappresentare significa ripresentare.
Presentare ha come radice la parola presente. Il presente sono io e tutto ciò che si “presenta” nei Quadri specchianti. Come già dal titolo Il presente, con il quale ho chiamato il primo gruppo di opere specchianti.

II. La macchina del tempo
Consideriamo il Quadro specchiante una vera e propria macchina che ci trasporta nella quarta dimensione. Partiamo dunque dagli elementi basilari che ne costituiscono il funzionamento. Conoscerne il meccanismo ci permette di governare, come astronauti, il viaggio nello spazio-tempo.

Primo: partiamo dal fotogramma fissato sullo specchio. La fotografia blocca un attimo della vita che scorre riflessa sulla superficie specchiante.

Secondo: lo spettatore, essendo compreso nell’opera, attiva il fenomeno combinatorio fra l’immagine fotografica (di persone o di un qualsiasi altro corpo fisico) fissata sullo specchio e tutto ciò che nello specchio è riflesso.

Terzo: nella porzione di spazio in cui l’immagine è fissata, la lamina specchiante perde la sua specularità, ma la fotografia dà significato artistico all’intera realtà specchiata, portando con sé la tradizione pittorica.

Quarto: tra l’immagine fotografica fissata e l’incessante mutamento delle immagini riflesse nello specchio si crea un contrasto estremo che innesca nella mente di chi guarda tutte le connessioni possibili; vuoto e pieno, statico e dinamico, positivo e negativo, nulla e tutto, natura e artificio, sempre e mai, relativo e assoluto.
Qui è necessario notare come l’uso della fotografia sia indispensabile per fermare tecnicamente un istante del tempo. L’immagine dipinta a mano sulla superficie specchiante, anche se massimamente realistica, non avrebbe mai potuto assolvere al compito che invece è proprio della macchina fotografica, quello di riprodurre e fissare istantaneamente ciò che ha di fronte.

III. Un film in diretta
La fotografia unita al movimento delle immagini specchiate fa immediatamente pensare a un altro mezzo tecnico, la cinematografia, e anche questo è un argomento che ci conduce a significative considerazioni.
Se fotografiamo un Quadro specchiante, vediamo che l’immagine fissata e le immagini riflesse si compongono in un’unica fotografia.
Nel quadro vero e proprio, invece, la composizione cambia a ogni istante.
Così, non è difficile constatare che in esso le figure in movimento, per l’effetto di connessione col fotogramma fisso, appaiono esse stesse come potenziali fotogrammi.
La fluidità ininterrotta del riflesso si spezzetta così in una sequenza di quadri fotografici. In termini cinematografici, il fotogramma fissato è un “fermo immagine”. Quello stesso fotogramma viene coinvolto nelle immagini riflesse che lo trasportano nella sequenza di fotogrammi in movimento, come fosse parte di un film.
Il Quadro specchiante è dunque un film del presente visto in diretta.

La proiezione cinematografica scorre alla velocità di ventiquattro fotogrammi al secondo, necessari a farci percepire come naturale il movimento delle immagini che scorrono nel film. Questo in quanto la sequenza dei fotogrammi viaggia alla velocità che l’occhio percepisce nella realtà.
Ciò vuol dire che il rapporto tra il nostro occhio e il nostro cervello è compatibile con tutto quello che, così come nello specchio e nella pellicola, scorre alla stessa velocità.
Esistono oggi nuovi sistemi di ripresa, come il video o il digitale, ma la sequenza di fotogrammi su pellicola permette di contare la frequenza ottica degli istanti, aventi la durata di un ventiquattresimo di secondo, permanenza che permette alla macchina fotografica, come alla cinepresa, di cogliere un’immagine da fissare sullo specchio.

IV. Il granulo di Planck
È qui necessario considerare cosa dice la scienza in proposito. Scrive Carlo Rovelli nel suo Ordine del Tempo:

Non possiamo pensare la durata come continua. Dobbiamo pensarla discontinua, non come qualcosa che possa fluire uniformemente, ma come qualcosa che in un certo senso salta da un valore all’altro. Il tempo minimo è chiamato il tempo di Planck. Il suo valore si stima facilmente combinando le costanti che caratterizzano i fenomeni relativistici gravitazionali e quantistici. Insieme queste determinano il tempo di 10-44 secondi: un centomilionesimo di un miliardesimo, di un milardesimo, di un miliardesimo di un secondo.

Questo è il tempo di Planck. È come se il tempo fosse granulare invece che continuo. Per il nostro occhio, nel Quadro specchiante così come per il movimento cinematografico il valore granulare del tempo da noi direttamente percepito è pari a un ventiquattresimo di secondo.
Qui siamo dentro a un’opera d’arte che funziona come una macchina del tempo. Dicevo che noi siamo astronauti alla guida di questa macchina.

Il Quadro specchiante è un veicolo del pensiero che viaggia alimentato da un propellente composto da una miscela di due elementi: uno è il tempo che si rispecchia direttamente, il secondo è il tempo artificialmente fissato dalla fotografia. Nel nostro caso, la fotografia che sostituisce la pittura è un prodotto della tecnica, la cui etimologia proviene dal greco techne e significa arte. Per techne si intende la traduzione del pensiero percettivo in pratica realizzazione.

V. Techne e convenzioni
L’incontro fra artificio, inteso come techne, e natura, ha messo in moto tutti i sistemi funzionali alla società, producendo le convenzioni che le fanno da guida. La ripartizione del tempo è una di queste convenzioni.
La raffigurazione della realtà è anch’essa una convenzione, non è la realtà vera, così come non lo sono i numeri, le parole, le note, le leggi e le carte geografiche.
Con uguale finalità, riguardo al tempo sono stati stabiliti i minuti, le ore, i giorni, i mesi e gli anni. Così come per lo spazio i centimetri, i metri e i chilometri. Tutte queste sono convenzioni.
La stessa grammatica, attraverso il verbo, divide il tempo in passato, presente e futuro. Ciò dimostra quanto la nostra forma mentis sia indissolubilmente legata a una convenzione atavica che deriva dall’esperienza diretta dell’alternarsi del giorno e della notte, della nascita e della morte, delle stagioni della vita.

L’arte ha usato le facoltà immaginative della mente anche per creare gli strumenti e i materiali utilizzati in ogni ambito della società umana. Vediamo ad esempio come la rappresentazione di un guerriero a cavallo da porre al centro di una piazza venisse realizzata con lo stesso bronzo e con lo stesso metodo di fusione necessari a fabbricare i mortai per la guerra.
Guerra e arte necessitavano della stessa techne.
La tecnicizzazione di ogni momento da parte degli umani ha reso una convenzione il loro intero modo di pensare e di agire.
Nel Quadro specchiante non abbiamo soltanto la fotografia ovvero la techne, il mezzo convenzionale, ma abbiamo anche l’intuizione percettiva del tempo, colto nel suo diretto manifestarsi.

A questo riguardo, esaminiamo ancora l’opera specchiante nei suoi due elementi: fotografia e specchio.
L’immagine fotografica porta con sé la convenzione storica della raffigurazione di cui ho appena parlato, mentre lo specchio riflette l’istantaneità del presente nel suo folgorante apparire. La mia apparizione nello specchio non permane, è istantanea. Ogni immagine nasce e muore continuamente. C’era, c’è e non c’è più.
Nella realtà della vita, come nello specchio, si nasce e si muore a ogni istante. Ma noi continuiamo a vederci nello specchio. Perché questo accade?
Perché continuiamo a vivere e non moriamo nell’attimo del rispecchiamento?

Ciò accade per il funzionamento delle reazioni elettrochimiche, fisiche, biologiche della materia di cui siamo fatti. Questo è l’andamento fenomenologico della natura. Gli uomini hanno creato una metodologia parallela alla fenomenologia della natura per organizzare tutte le azioni che possono compiere. Si sono distinti man mano dal mondo naturale fino a vivere ormai in un mondo parallelo, interamente artificiale, in cui l’intesa fra le persone è quasi esclusivamente basata sulla convenzione.

VI. La durata
Proseguo ora la mia indagine del “tempo” attraverso la lettura della “materia”. Applicando alla lamina specchiante l’immagine fotografica, io fisso una materia.
Questa materia vive di una sua vita fisica contemporaneamente a un’altra vita fisica, quella dell’acciaio inossidabile. La possibilità di misurare la temporalità della materia fissata sulla superficie specchiante dipende dalla ricerca fisica che porta a definire la durata di qualsiasi altra materia. Ad esempio, possiamo datare con certezza il sarcofago ligneo che accoglie le spoglie del Faraone Tutankhamon attraverso il decadimento radioattivo del carbonio-14, il quale avviene dal momento in cui l’albero da cui è ricavato diviene legno lavorato. Nel legno del sarcofago il carbonio è decaduto, ma non deceduto, perché si è via via trasformato in altre sostanze.

Quando si sarà totalmente esaurito nel legno, sarà già divenuto altro. Questa trasformazione avviene anche per i materiali inorganici e, più in generale, per tutta la materia esistente.
Attraverso la ricerca chimica si è stabilita scientificamente una misurazione temporale che convenzionalmente chiamiamo memoria. Abbiamo infatti l’esatta memoria di ciò che accadeva in Egitto 3335 anni fa.
Allo stesso modo, si potranno misurare le materie che compongono il Quadro specchiante e avere memoria del momento in cui è nata l’opera.
Quindi so già che le immagini fotografiche e il fondo specchiante, essendo di materiali diversi, avranno una diversa permanenza. La loro massima identità temporale esiste nel momento in cui si realizza l’opera.
In seguito, i differenti materiali andranno ciascuno verso il proprio deterioramento. E già possiamo dire che quello dell’immagine fissata nello specchio avrà vita più breve dell’acciaio inox specchiante.

Tuttavia, la memoria di quel momento è già comunque visibile nell’opera stessa, in quanto ne è parte addirittura costituente. La fotografia bloccata sulla superficie specchiante è memoria di un preciso istante che rimarrà impresso in ogni presente a venire finché i materiali non saranno dissolti, ma finché essi dureranno ci riporteranno sempre al momento iniziale fissato sullo specchio. La memoria del Quadro specchiante funziona per l’occhio e la mente dell’essere umano così come per la scienza funziona l’indagine nella sostanza della materia. È con la scienza che arriviamo a riconoscere la memoria insita nella natura universale. Infatti possiamo scientificamente ripercorrere lo sviluppo dell’universo fino alla sua origine attraverso la radiazione cosmica che si estende a partire dal Big Bang iniziale, dunque averne memoria. Il Quadro specchiante contiene visibilmente, in sé, questa fenomenologia cosmica.

È importante considerare quanto ho detto anche attraverso l’opera Autoritratto di Stelle, in cui si percepisce come la mia persona possa riconoscersi nell’estensione delle galassie, così come le galassie possono riconoscersi nelle dimensioni della mia persona. Ho tutto l’universo dentro di me.
Ho fatto quest’opera come autoritratto, ma avrei potuto riferirla a qualsiasi altro corpo esistente. Infatti dall’origine dell’universo avviene un continuo trasformarsi della materia che troviamo ricombinato dentro di noi e in ogni cosa che ci circonda.