Ecologia e pensiero critico – Timothy Morton

Le strutture economiche moderne hanno drasticamente condizionato l’ambiente. Ma sono state nocive anche per il pensiero. L’era moderna ci costringe a pensare la “totalità". Non farlo è parte del problema

di: Timothy Morton

Pubblichiamo un estratto dal libro Come un’ombra dal futuro. Per un nuovo pensiero ecologico, di Timothy Morton, edito da Aboca. Ringraziamo l’editore per la possibilità concessa.

 

 

 

 

Pensare in modo ecologico può essere abbastanza diverso dalle nostre supposizioni. Non ha a che fare solo con le scienze dell’ecologia. Pensare in modo ecologico ha a che fare con l’arte, la filosofia, la letteratura, la musica e la cultura. Ha molto più a che fare con il settore degli studi umanistici delle moderne università che con le scienze naturali, ma ha anche a che fare con le fabbriche, i trasporti, l’architettura e l’economia. L’ecologia racchiude tutti i modi immaginabili in cui si può vivere insieme. Ha profonde implicazioni con la coesistenza. L’esistenza è sempre coesistenza. Nessun uomo è un’isola.1 Gli esseri umani hanno bisogno l’uno dell’altro tanto quanto hanno bisogno dell’ambiente. Gli esseri umani sono l’uno l’ambiente dell’altro. Pensare in modo ecologico non riguarda semplicemente cose non umane. L’ecologia ha a che fare con me e con te.

Perché intitolare questo libro Il pensiero ecologico? Perché non Un pensiero ecologico o Alcuni pensieri ecologici? O, più modestamente, Note sul pensiero ecologico? O solo Pensiero ecologico? Certo, ci sono pensieri ecologici. E questo libro non ha il monopolio sul pensiero ecologico. Ma c’è un tipo particolare di pensiero che io chiamo il pensiero ecologico. Corre come un filamento di DNA attraverso mille altri tipi di pensieri. Inoltre, la forma del pensiero ecologico è almeno tanto importante quanto il suo contenuto. Non è semplicemente una questione di che cosa si sta pensando. Ma è anche una questione di come si pensa. Una volta che si inizia a pensare il pensiero ecologico, non si può non pensarlo: è come uno sfintere, una volta aperto, non si richiude.

La portata del danno

Le strutture economiche moderne hanno drasticamente condizionato l’ambiente. Ma hanno avuto un effetto altrettanto nocivo sul pensiero. Non voglio dire che prima d’ora avessimo pensato in modo ecologico e corretto. Il pensiero ecologico nella sua piena ricchezza e profondità non era accessibile agli umani non moderni. Anche ora, sulla soglia – anzi, superata la soglia – della catastrofe climatica, siamo capaci solo di intravvederne la magnitudine e la profondità. L’era moderna ci costringe a pensare in grande […]. Qualsiasi pensiero che eviti questa “totalità” è parte del problema. Dunque dobbiamo affrontarlo. Qualcosa della vita moderna ci ha impedito di pensare la “totalità” nel modo più ampio possibile. Ora non possiamo fare a meno di pensarla. La totalità si profila minacciosa come l’ombra di un enorme grattacielo sul più insignificante pensiero riguardo, ad esempio, al tempo che fa oggi. Potremmo avere bisogno di pensare più in grande della totalità stessa, se la totalità significa qualcosa di chiuso, qualcosa di cui possiamo essere sicuri, qualcosa che rimane uguale. Potrebbe essere più difficile immaginare quattro miliardi e mezzo di anni che l’eternità astratta. Potrebbe essere più difficile immaginare l’evoluzione che l’infinito astratto.

È un po’ mortificante. Questo infinito “concreto” ci fronteggia direttamente nella realtà della vita sulla Terra. Affrontarlo è uno dei compiti abissali a cui il pensiero ecologico ci chiama.

Fino ad ora ci siamo sbagliati, questa è la verità dello sconvolgimento climatico e dell’estinzione di massa. Non sono a favore di un ritorno al pensiero premoderno. Il pensiero ecologico è moderno. Il paradosso è che l’era moderna –quella iniziata intorno al tardo XVIII secolo – si è preclusa l’accesso al pensiero ecologico, anche se il pensiero ecologico sarebbe diventato uno dei suoi lasciti permanenti. Per quanto riguarda l’ecologia, la modernità ha passato gli ultimi due secoli e mezzo a combattere contro i mulini a vento. Il fantasma della “Natura”, un’entità del tutto nuova travestita da reliquia di un’epoca tramontata, ha perseguitato la modernità da cui ha tratto origine.2 Questa Natura spettrale ha inibito la crescita del pensiero ecologico. Solo ora che il capitalismo e il consumismo contemporaneo coinvolgono tutta la Terra entrando in profondità nelle sue forme di vita, è infine possibile, paradossalmente, lasciar andare questo inesistente fantasma. Esorcizzare fa bene; e l’umanità ha superato il punto in cui la Natura è di aiuto. La nostra continua sopravvivenza, e quindi la sopravvivenza del pianeta che ora stiamo dominando oltre ogni dubbio, dipende dal nostro pensare oltre la Natura.

I pensatori moderni hanno dato per scontato che il fantasma della Natura, sbatacchiando le sue catene, evocasse un tempo senza industria, un tempo senza “tecnologia”, come se non avessimo mai usato la pietra focaia o il grano. Ma guardando il fantasma della Natura, i moderni esseri umani guardavano in uno specchio. Nella Natura vedevano l’immagine riflessa e rovesciata della loro stessa epoca; e l’erba è sempre più verde dall’altra parte. La Natura era sempre “laggiù, da qualche parte”, aliena e alienata.3 Proprio come un riflesso, non possiamo mai raggiungerla davvero, né toccarla e far parte di essa. La Natura era un’immagine ideale, una forma appartata, sospesa lontano, luccicante e nuda dietro un vetro come un dipinto costoso. Nell’idea di luogo selvaggio immacolato possiamo distinguere l’immagine speculare della proprietà privata: “Non camminare sull’erba”, “Non toccare”, “Non in vendita”. La Natura era una sorta di proprietà privata senza proprietario, esibita in una galleria d’arte costruita ad hoc. La galleria era la Natura stessa, svelata nel XVIII secolo con tecniche visuali come “pittoresca”: sembrava una pittura.4 La versione “nuova e avanzata” è arte senza oggetto, solo un’aura: il luccichio del valore.5 La Natura non è ciò che sostiene di essere.

Visto che siamo in tema di Natura e delle sue “nuove e avanzate” versioni, questo libro opera una rigorosa distinzione fra ambientalismo ed ecologia. Quando lo avrai terminato, potresti pensare che ci siano buone ragioni per sostenere non solo un’ecologia senza natura, ma anche un’ecologia senza ambientalismo.

In Reflections on the Edge of Askja Pall Skulason ci spiega perché abbiamo bisogno della Natura:

Per vivere, per essere capaci di esistere, la mente deve essere in sintonia con una qualche forma di ordine. Deve apprendere la realtà come un tutto indipendente… e deve legarsi in maniera stabile a certe caratteristiche di ciò che chiamiamo realtà. Non può legarsi al mondo ordinario dell’esperienza quotidiana, se non credendo per fede che la realtà formi un tutto oggettivo, un tutto che esiste indipendentemente dalla mente. La mente vive, e noi viviamo, in una relazione di fede con la realtà stessa. Questa relazione è ugualmente una relazione di fiducia in una realtà distaccata, una realtà che è differente e diversa da quella della mente. Viviamo ed esistiamo in una relazione di fiducia, che per sua natura è sempre incerta e insicura… [Questa] relazione di fiducia… è originariamente, e intimamente, sempre una relazione con la realtà intesa come totalità naturale: come Natura.6

 

Non è difficile individuare in questo passaggio le azioni violente e ripetitive di qualcuno che vuole disperatamente riavviare una macchina rotta. Skulason gira la manovella, attacca i cavi di alimentazione, la fa andare giù in discesa… non è solo ciò che dice o come lo dice. È l’atteggiamento con cui lo dice, la “posizione del soggetto”. Dal tono di speranza e paura si potrebbe dire che il gioco è finito e che lui lo sa. Indulge in un pensiero magico: “Se continuo a dirlo nel modo giusto, funzionerà. La Natura esisterà”. Nell’enorme quantità di testo si può leggere la disperazione. Continua e continua, aspettando qualcosa che non arriva mai. È scrivere sulla Natura ridotto ad Aspettando Godot: “Devo andare avanti. Posso volere che la Natura esista, scriverla nel manoscritto”. Skulason cerca di tirarci su nel bel mezzo del disastro al rallentatore a cui stiamo assistendo. Più racconta, peggio è.

Nel nome dell’ecologia, dobbiamo esaminare la Natura con tutta la diffidenza possibile per una persona moderna. Rendiamo consapevoli gli acquirenti. La Natura ha finito per diventare una riproduzione di plastica di una cosa reale. Come scrive Emmanuel Lévinas in un sorprendente passaggio che è, fra l’altro, un’ardente critica del filosofo preferito dell’Ecologia profonda, Martin Heidegger, i nostri concetti di “madre natura generosa e senza volto” sono basati su società agricole “sedentarie” con la loro idea di “possesso”. Il mito della madre senza volto ci fornisce il motivo stesso del nostro sfruttamento della Terra, vista come “materia inesauribile delle cose”.7 Le aree selvagge sono enormi versioni astratte di prodotti appesi nelle vetrine dei centri commerciali. Anche quando abbiamo provato a ritagliarci uno spazio, mettendolo al sicuro dalle devastazioni dell’era moderna, eravamo totalmente in errore, su un piano più profondo.

Possiamo superare la nostra assuefazione al possesso e al mito della madre senza volto? Qual è la cosa reale? Possiamo averne una percezione, certo, ma questo aggiornerà di molto i nostri concetti di “cosa” e di “reale”. L’ecologia ci mostra che tutti gli esseri sono connessi. Il pensiero ecologico è il pensiero dell’interconnessione. Il pensiero ecologico è un pensiero sull’ecologia, ma è anche un pensiero che è ecologico. Pensare il pensiero ecologico è parte di un progetto ecologico. Il pensiero ecologico non si presenta solo “nella mente”. È una pratica e un processo del divenire pienamente consapevoli di come gli esseri umani siano connessi con altri esseri, animali, vegetali o minerali. In sostanza, questo concerne anche il pensiero riguardo alla democrazia. Come potrebbe avvenire un incontro realmente democratico fra esseri realmente uguali, che cosa sarebbe, possiamo mai immaginarlo?

Quando iniziamo a guardare, troviamo il pensiero ecologico ovunque. Non è sorprendente, dal momento che il pensiero ecologico è interconnessione nel senso più pieno e profondo. Anche il noto detto di Cartesio “Penso dunque sono” ha luogo in un ambiente, e questo ambiente è presente nello stesso testo del cogito. Cartesio inizia le Meditazioni descrivendo sé stesso seduto accanto al fuoco mentre tiene in mano la carta su cui scrive.8 Il pensiero ambientalista spesso condanna il Cartesianesimo come un prototipo del temuto dualismo che separa mente e corpo, sé e mondo, soggetto e oggetto. Cartesio è percepito come il nemico pubblico numero uno dell’ambientalismo. Il pensiero ecologico insiste nell’affermare che siamo profondamente connessi anche quando diciamo di non esserlo. Il pensiero stesso è un evento ecologico. Quel tipo di ideologia ambientalista che vorrebbe che noi non avessimo mai iniziato a pensare – ideologia brutalmente immediata, aggressivamente mascolina, vigorosamente anti-intellettuale, timorosa dell’umorismo e dell’ironia – è a dir poco sospetta. Infatti è parte del problema. La costante affermazione di essere “incorporati” in un mondo vitale è, paradossalmente, un sintomo di drastica separazione.9

Quando pensiamo il pensiero ecologico, incontriamo tutti quei tipi di esseri che non sono strettamente “naturali”. Non è nemmeno sorprendente, dal momento che ciò che chiamiamo “natura” è una sequenza “denaturata”, innaturale, prodigiosa di mutazioni ed eventi catastrofici: basta leggere Darwin. La visione ecologica che ne deriva non è un’immagine di un qualche oggetto limitato o di una “economia ristretta”, un sistema chiuso.10 È una vasta e diffusa maglia di interconnessioni senza un centro o un angolo definito. È intimità radicale, coesistenza con altri esseri, senzienti e non (e come si può determinare la differenza in modo così netto)? Il pensiero ecologico si apre a ventaglio in una serie di domande che riguardano i cyborg, l’intelligenza artificiale e l’irriducibile incertezza rispetto a che cosa è una persona.11 Essere una persona significa non essere mai sicuri di esserne una. Se vivessimo in un’epoca di ecologia senza Natura, tratteremmo molti più esseri come persone, decostruendo le nostre idee su che cosa sia davvero una persona. Pensiamo a Blade Runner o a Frankenstein: l’etica del pensiero ecologico è considerare gli esseri come persone anche se non sono persone. Gli animismi antichi trattano gli esseri come persone senza il concetto di Natura. Forse sto mirando a una versione aggiornata di animismo (sto anche cercando un’altra buona scusa per scrivere del mio film preferito, Blade Runner).

Movimenti di apertura

Pensare il pensiero ecologico è difficile: significa diventare aperti, radicalmente aperti, per sempre aperti, senza possibilità di chiudersi di nuovo. Lo studio dell’arte offre un supporto, visto che l’ambiente è in parte una questione di percezione. Le forme d’arte ci dicono qualcosa sull’ambiente, perché ci possono fare interrogare la realtà. Vorrei rimanere il più a lungo possibile in una modalità aperta e curiosa. Questa modalità aperta è intrinseca in tutto ciò che, inadeguatamente, chiamiamo “ambiente”.12 Il pensiero ecologico pensa l’ecologia? Sì e no. È un pensiero che è ecologico, una contemplazione che è azione. Ridare una cornice al nostro mondo, ai nostri problemi e a noi stessi è parte del progetto ecologico. Questo è ciò che significa praxis: un’azione che è meditata e un pensiero che è attivo. Aristotele afferma che la più elevata forma di praxis è la contemplazione.13 Non dovremmo avere paura di ritirarci e riflettere.

Il pensiero ecologico è pure difficile perché porta alla luce aspetti della nostra esistenza rimasti a lungo nell’inconscio; non ci piace evocarli. Non è come pensare dove finisce lo scarico del gabinetto: è pensare dove finisce lo scarico del gabinetto. Preoccuparsi del trattamento delle acque reflue è un buon esempio. Negli Stati Uniti ora molte persone bevono acque reflue riciclate. Alcuni non vogliono proprio sapere che la loro acqua è escremento riciclato. È una politica pubblica smorzare questo fatto. Eppure l’acqua riciclata è meno impura dell’acqua filtrata in modo “naturale”. In questo processo perdiamo non solo i nostri indisturbati sogni di igiene civilizzata, ma anche il nostro senso di Natura incontaminata e non artificiale. La Natura diventa la versione 1.0 del trattamento delle acque reflue.14 Freud descrive l’inconscio come un’area selvaggia. Le aree selvagge sono l’inconscio della società moderna, luoghi in cui possiamo recarci per mantenere inalterati i nostri sogni. La stessa forma della coscienza moderna è proprio questo sogno.

[…] L’ecologia parla degli ambiti di vita che troviamo irritanti, noiosi e imbarazzanti. L’arte ci può aiutare perché è un posto nella nostra cultura che ha a che fare con l’intensità, la vergogna, l’abiezione e la perdita. Ma ha anche a che fare con la realtà e l’irrealtà, con l’essere e l’apparire. Se l’ecologia riguarda una coesistenza radicale, allora dobbiamo sfidare il nostro senso di ciò che è reale e ciò che è irreale, di ciò che vale come esistente e come non esistente. L’idea della Natura come cosa olistica, sana e reale elude questa sfida.

Dobbiamo affrontare alcune domande enigmatiche. Che cos’è un ambiente? Esiste una cosa come l’ambiente? È davvero tutto “intorno” a noi? A che punto ci fermiamo – se possiamo fermarci – nel tracciare la separazione fra ambiente e non ambiente: l’atmosfera? Il campo gravitazionale della Terra? Il campo magnetico della Terra, senza il quale tutto verrebbe bruciato dai venti solari? Il sole, senza il quale non saremmo nemmeno in vita? La galassia? L’ambiente finisce per includerci o escluderci? È naturale o artificiale, o tutti e due? Lo possiamo mettere in una scatola concettuale? “Ambiente” potrebbe essere la parola sbagliata? L’ambiente, la versione aggiornata della Natura, è pieno di insidie. È paradossale, poiché quello che spesso chiamiamo ambiente è cambiato, degradato, eroso (e distrutto) da forze globali dell’industria e del capitalismo. Proprio quando abbiamo bisogno di sapere che cos’è, ecco che scompare.

Alla crisi ecologica si accompagna un’apertura ugualmente potente e pressante della nostra visione di chi siamo e dove siamo. Che cos’è quindi l’arte ambientale? Se ciò che inadeguatamente chiamiamo ambiente implica un’apertura radicale, come si manifesta nelle forme artistiche? Ci sono modi ambientali di leggere e fare critica che rendano conto di questa apertura radicale? Sono emersi vari generi di ecocritica per esplorare il ruolo dell’ecologia nella letteratura. In particolare, la letteratura romantica, a partire dall’inizio dell’età moderna dell’industria e del capitalismo, è servita come pietra di paragone per l’ecocritica.15 Questo genere di critica, comunque, restringe l’apertura radicale sottesa al pensiero ecologico, facendo uso di un contenitore concettuale preconfezionato con l’etichetta “Natura”. Paradossalmente, la “Natura” romantica è un costrutto artificiale. E ancora più paradossalmente, la stessa arte del Romanticismo già pensava l’ambiente in modi decisamente “fuori dagli schemi”. Sarà dunque utile esplorare la letteratura romantica ne Il pensiero ecologico.16 Da allora non è cambiato granché. Abbiamo più cemento, più plastica, più democrazia, più scienze e tecnologie sviluppate, più PIL, più alienazione e più autoconsapevolezza nel chiedersi se scrivere poesie possa davvero cambiare il mondo. Queste sono differenze quantitative, non qualitative.

Una pratica di lettura realmente ecologica penserebbe l’ambiente al di là di categorie concettuali rigide; includerebbe quanto più possibile dell’apertura radicale tipica del pensiero ecologico. L’ecocritica ha sottovalutato il modo in cui l’arte – non solo quella esplicitamente ecologica – ha collegato l’ambiente direttamente con la sua forma. L’arte ecologica, e l’ecologic-ità di tutta l’arte, non è su qualcosa (alberi, montagne, animali, inquinamento e via dicendo). L’arte ecologica è qualcosa, o forse fa qualcosa. L’arte è ecologica nella misura in cui è costituita da materiali ed esiste nel mondo. Esiste, per esempio, come una poesia su una pagina di carta, che proviene da alberi e che si tiene in mano mentre si è seduti su una sedia in una certa stanza di una casa, che sta su una collina nella periferia di una città inquinata. Ma la sua essenza ecologica va oltre. La forma delle strofe e la lunghezza dei versi determinano il modo in cui si apprezza la carta bianca intorno. Leggere la poesia ad alta voce ci rende consapevoli della forma e della dimensione dello spazio intorno a noi (alcune forme, come lo jodel, lo fanno in modo deliberato). La poesia organizza lo spazio. Visti in questo modo, tutti i testi –anzi, tutte le opere d’arte – hanno una forma ecologica irriducibile. L’ecologia permea tutte le forme. Oggi siamo abituati a chiederci che cosa una poesia dica riguardo a questioni etniche o di genere, anche se non fa esplicita menzione né di etnia né di genere. Presto ci abitueremo a chiederci che cosa dica dell’ambiente un qualsiasi testo, anche se non vi compaiono animali, alberi o montagne.17

Il pensiero ecologico interessa tutti gli aspetti della vita, della cultura e della società. A parte l’arte e la scienza, dobbiamo costruire il pensiero ecologico a partire da ciò che troviamo nella filosofia, nella storia, nella sociologia, nell’antropologia, nella religione, negli studi culturali e nella teoria critica […]. A qualcuno non piacerà.

 

 

 

 

 

 

1 J. Donne, Meditation 17, in Major Works: Including Songs and Sonnets and Sermons, ed. J. Carey, Oxford University Press, Oxford 2000, p. 344.

2 EwN, pp. 14, 18-19, 83-92.

3 Cfr. S. Vogel, Against Nature: The Concept of Nature in Critical Theory, State University of New York Press, Albany 1996.

4 J. Barrell, The Idea of Landscape and the Sense of Place, 1730-1840: An Approach to the Poetry of John Clare, Cambridge University Press, Cambridge 1972; e J. Barrell, The Dark Side of the Landscape: The Rural Poor in English Painting, 1730-1840, Cambridge University Press, Cambridge 1980.

5 EwN, pp. 20-21, 22, 52-53, 67, 80-81, 105-106, 114-115, 142, 155, 168. Evitando di usare il termine “rete”, cerco di seguire il mio stile, anche se “maglia” potrebbe essere un sostituto mediocre (cfr. EwN, p. 81).

6 P. Skulason, Reflections at the Edge of Askja: On Man’s Relation to Nature, University of Iceland Press, Reykjavik 2006, p. 11. Cfr. S. Žižek, In Defense of Lost Causes, Verso, London 2008, p. 444 (In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale, Ponte alle Grazie, Firenze 2009).

7 TI, p. 46 (ed. it. p. 44).

8 R. Descartes, Meditations and Other Metaphysical Writings, trans. D.M. Clarke, Penguin, London 2000, p. 19 (Meditazioni metafisiche, trad. S. Landucci, Laterza, Bari-Roma 2016).

9 EwN, pp. 4-5, 63-64, 80-81, 124-125, 129, 128-135, 164, 168.

10 Prendo in prestito il termine “economia ristretta” da G. Bataille, The Accursed Share: An Essay on General Economy, trans. R. Hurley, Zone Books, New York 1988, pp. 19-26 (La parte maledetta, trad. F. Serna, Bollati Boringhieri, Torino 2015).

11 Il “cyborg” rappresenta lo “stato di persona” in un’epoca di interconnessione digitale ed ecologica, vedi D. Haraway, “A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century”, in Simians, Cyborgs, and Women: The Reinvention of Nature, Routledge, London 1991, pp. 149-181 (Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, a cura di L. Borghi, Feltrinelli, Milano 2018).

12 Cfr. T. Morton, “John Clare and the Question of Place”, in Romanticism’s Debatable Lands, ed. C. Lamont e M. Rossington, Palgrave, London 2007, pp. 105-117.

13 Cfr. E. Fromm, To Have or to Be?, Continuum, London 2007, p. 75 (Avere o essere, Mondadori, Milano 2018).

14 Cfr. E. Royte, A Tall, Cool Drink of… Sewage?, in “New York Times Magazine”, 10 agosto 2008, pp. 30-33.

15 Cfr. L. Buell, The Environmental Imagination: Thoreau, Nature Writing, and the Formation of American Culture, Harvard University Press, Cambridge 1995; J. Bate, Romantic Ecology: Wordsworth and the Environmental Tradition, Routledge, London 1991; J. Bate, The Song of the Earth, Harvard University Press, Cambridge 2000; J. McKusick, Green Writing: Romanticism and Ecology, St. Martin’s Press, New York 2000; e K. Kroeber, Ecological Literary Criticism: Romantic Imagining and the Biology of Mind, Columbia University Press, New York 1994. Cfr. anche G. Garrard, Ecocriticism, Routledge, London 2004; K. Hutchings, Imagining Nature: Blake’s Environmental Poetics, McGill-Queen’s University Press, Montreal 2003; R. Pite, How Green Were the Romantics?, in “Studies in Romanticism”, vol. 35, n. 3, primavera 1996, pp. 357-373; K. Rigby, Topographies of the Sacred: The Poetics of Place in British Romanticism, University of Virginia Press, Charlottesville 2004; O. Oerlemans, Romanticism and the Materiality of Nature, University of Toronto Press, Toronto 2002.

16 Cfr. EwN, pp. 73-76, 194-195.

17 Per l’analisi della forma ambientale cfr. T. Morton, Of Matter and Meter: Environmental Form in Coleridge’s ‘Effusion 35’ and ‘The Eolian Harp’, in “Literature Compass Romanticism”, vol. 5, gennaio 2008.