Provincia e Città Arcipelago. Intervista a Michelangelo Pistoletto

Il dibattito sull’identità e le speranze di province, metropoli, periferie, aree interne e città intermedie è uno dei temi di riflessione del contemporaneo. Ne parliamo con Michelangelo Pistoletto

di: Michele Cerruti But

Il dibattito sull’identità e le speranze progettuali incarnate da provincia, città, metropoli, periferie, aree interne e città intermedie è di gran lunga uno dei temi di riflessione del contemporaneo: non solo da parte delle discipline che si occupano specificamente di questioni spaziali, ma anche da parte di intellettuali e politici che si occupano di altro. Ne parliamo con Michelangelo Pistoletto, artista che alla fine degli anni Novanta fonda nella provincialissima Biella la sua Cittadellarte, una fondazione che oggi vanta una notevole rete internazionale di artisti, attivatori, innovatori sociali, imprese e organizzazioni, e che sempre a Biella apre un’Accademia di Belle Arti, l’Accademia Unidee. Il Maestro si fa portavoce di una visione e un progetto in fieri che ha il suo cuore pulsante proprio in questo territorio.

 

Michele Cerruti But: Michelangelo, possiamo ancora parlare di provincia o di periferia? Vale ancora questa divisione concettuale tra città, periferia, metropoli, provincia che spesso risuona nelle parole di intellettuali, studiosi e politici?

Michelangelo Pistoletto: Già anni fa ho fatto un disegno della metropoli – della città – come un grande cerchio, e avevo posto il simbolo del terzo paradiso proprio sul taglio di questo cerchio, sulla sua periferia: l’operazione da compiere per sviluppare il progetto del terzo paradiso era cioè considerare la periferia come punto centrale. Nel senso che, dei tre cerchi, ne abbiamo uno all’interno della città, uno all’esterno della città, e il grande cerchio centrale è quello che unisce, nella periferia, l’artificio della città e la natura dell’esterno dell’urbano. La città come grigio, o potremmo dire “grigio elettrico” per via dell’impatto dell’elettricità e dell’energia, mentre fuori c’è il sole e la natura, il giallo e il verde.

 

 

MCB: In effetti anche nel dibattito urbanistico si parla spesso di trovare un nuovo equilibrio tra le reti grigie, verdi e blu. Quello di cui parli è quindi in effetti un progetto di territorio?

MP: In quel momento avevo pensato a come potrebbe essere questa città illuminata contemporaneamente dal sole e dall’elettricità, basata sul grigio del cemento e sul verde della natura. Da una parte l’artificio, dall’altra la natura. Questo progetto è appunto quello della “città arcipelago”. L’arcipelago richiama ovviamente l’idea dell’acqua, ma noi qui di certo non abbiamo l’acqua, abbiamo però un mare verde, la natura, e credo che l’idea dell’arcipelago sia molto vicina a quella della provincia, come vediamo qui a Biella.

MCB: La metafora della “città arcipelago” è un vero archetipo urbanistico che si ripropone spesso nella contemporaneità, a partire da quella ormai mitologica proposta di Ungers per Berlino nel ‘77 e passando poi per tanti altri esempi notissimi, da Koolhaas a Colin Rowe, da Pier Vittorio Aureli a Stefano Boeri, che declinavano il concetto in modo ogni volta diverso. Ma perché Biella come città arcipelago? Qual è la specificità e la novità di questo progetto?

MP: Anzitutto bisogna dire che a Biella abbiamo avuto, grazie al simbolo del Terzo Paradiso, la nomina a Città Creativa dall’UNESCO, per cui ora ci troviamo a dover sviluppare questo titolo, e per impellenza e necessità non possiamo fare altro che dare forma a questa creazione. Che in fondo consiste nel realizzare il nostro ideale di città che spariglia l’idea di periferia, mettendo in tensione artificio urbano e natura extraurbana. Si tratta non soltanto di portare il verde, il giardino, gli orti dentro la città, come abbiamo fatto alcuni anni fa a Milano, per esempio. Ma si tratta anche di portare la città dentro ai giardini e dentro agli orti. Ecco perché il verde della natura prende il posto del mare: un mare con tante isole, ed è un’immagine che qui nel biellese è molto chiara, perché le isole – i vari comuni che formano la provincia – sono già presenti.
Proprio per questo suo carattere geografico, è evidente che il riconoscimento di “città creativa” non riguardi solo la città “dentro le mura”, la Biella intra moenia, ma l’intero territorio, perché è stato proprio l’insieme dei comuni a promuovere questa proposta, quella di considerare l’intera provincia come città creativa. Anche per questo non è più possibile pensare alla città contemporanea come a una città murata, un centro denso circondato da periferie.
O come a una città industriale, circondata da palazzi-dormitorio in funzione di una produzione che sta nel centro: a Biella abbiamo invece un’industria sparsa, diffusa nel territorio in funzione della ricerca dell’acqua, il vero motore dell’industria laniera. Un’acqua pulita, che veniva dalle montagne, particolarmente pura e adatta a lavare, tingere e lavorare la lana.

MCB: È il modello integrato e diffuso del distretto industriale, nelle sue intersezioni con il luogo e la società?

MP: Certo. La città – la provincia – di Biella funzionava già attraverso un sistema sparso: come se fosse un’industria unica con tante fabbriche, ciascuna specializzata in un particolare passaggio del processo produttivo. Chi si occupava del lavaggio, chi della follatura, che della tintoria, chi della tessitura… una città industriale sparsa. Che non poteva che funzionare in questo modo, perché ciascuna impresa, piccola, media o grande, doveva avere un rapporto diretto con la dinamica dell’acqua. Potremmo dire che rispetto al concetto di arcipelago qui siamo nati già favoriti.

MCB: Michelangelo, dove potremmo identificare i confini di questa città arcipelago? Dove inizia, dove finisce? E quali sono i confini di ciascuna isola? Cosa succede in quel “bordo”?

MP: Direi che qui la città arcipelago ha i confini già delineati dai confini della provincia di Biella

MCB: L’espressione “la provincia è una città arcipelago” è quindi da intendersi come un’interpretazione o come un progetto? Un modo per leggere il presente e il passato di un territorio o un modo per immaginarne il futuro?

MP: Io lo vedo come progetto. Un progetto che dovrebbe essere il progetto per tutte le città, non solo di Biella. Parlo di Biella come esempio perché qui troviamo un territorio favorevole. Ma è un progetto. Secondo me le stesse metropoli devono trasformarsi in arcipelaghi. Perché ciascuno dovrà poi avere, vicino o lontano, tanti altri arcipelaghi cittadini che costituiscano il tessuto generale dell’urbanistica, allargata a livello regionale, nazionale, internazionale.
Ma la cosa per me importante dentro a una città arcipelago è soprattutto che ci si assuma la responsabilità di essere il più autonomi possibile. Questo non esclude la comunicazione internazionale o interregionale ma rinforza piuttosto il rapporto tra i cittadini, chiamati a connettersi per mettere a punto le questioni essenziali per il territorio e a intraprendere un modello di parlamentarietà locale che permetta di fornire alle domande risposte effettive, che non vengano da lontano o caschino dall’alto, ma nascano dalla necessità pratica delle situazioni. Un luogo in cui i cittadini, non in forma individuale ma attraverso le istituzioni comunali e altre forme organizzate, possano partecipare alla messa a punto della realtà adottando un senso molto vicino, locale, diretto. Un modello di partecipazione molto connesso a un’idea che abbiamo sviluppato con la Cittadellarte, la “Demopratica”, tesa a generare una democrazia praticata veramente e non ideologizzata come nella contemporaneità.

 

 

MCB: Trovo interessante che nell’immagine della città arcipelago non ci sia un unico centro ma tanti centri, in qualche modo in relazione tra loro secondo regole che è la natura, la disposizione stessa del territorio, a costruire. Ma come si governa un territorio costruito in questo modo? Da questo ragionamento è piuttosto chiaro che non è possibile né auspicabile un governo di tipo verticale, perché sfalderebbe l’immagine stessa di città arcipelago. Quasi a dire che, in termini di governance, alla città arcipelago deve corrispondere una società arcipelago.

MP: Si tratta sempre di avere delle interconnessioni. C’è sempre una coralità più o meno organizzata. Ma ci vuole sempre anche una regia. Che in questo caso non è arbitraria ma tecnica, con la funzione di aiutare a coordinare la partecipazione e realizzare la democrazia nell’affrontare le domande che sono i cittadini organizzati a individuare: il punto è non avere troppe domande tutte insieme, ma partire anzitutto da quelle più importanti.

MCB: Quali, per esempio?

MP: Oggi penso che la prima cosa da considerare sia l’energia. Necessaria più del pane. I computer e i dispositivi che usiamo ogni giorno per parlare e incontrarci, ad esempio, hanno continuamente bisogno di elettricità per funzionare, ed ecco perchè risolvere il fenomeno della produzione energetica è la prima questione, da affrontare per capire come sia possibile produrre localmente l’energia e distribuirla perché possa essere utilizzata da tutti, integrando i sistemi già funzionanti.

MCB: Parlando di dispositivi di comunicazione mi pare si metta a fuoco la questione della prossimità. Nella città densa tutto è prossimo, e anzi uno dei caratteri specifici della città è proprio la possibilità di accedere facilmente a servizi e beni e di incontrarsi facilmente con le persone. Cioè, in buona sostanza, la città è in gran parte definita dal suo grado di prossimità. E nella città arcipelago?

MP: In senso fisico, nella città arcipelago avremmo sempre il massimo grado di prossimità, perché di fronte a un modello in cui tutto è prodotto industrialmente, e distribuito in reti molto complesse e lontane, qui invece avremo gli orti e la natura vicino casa, e potremo garantire un modello produttivo locale, non condizionato dalla distanza, recuperando il vecchio rapporto tra agricoltura e città. Si torna in qualche modo all’umiltà del produrre: non esiste solo la dimensione smisurata della produzione, che poi richiede concimi chimici, diserbanti, solfiti… piuttosto un modello di produzione locale, in cui con passione si lavora la terra. È un’esperienza che da molti anni stiamo praticando e promuovendo, a Cittadellarte, dove abbiamo attivato una rete di produttori locali che recuperano le terre abbandonate e possono vendere i loro prodotti coltivati in modo sano. Il senso ecologico, di cui si parla molto, è al centro. E la sostenibilità è messa in primo piano.
Contemporaneamente, la prossimità riguarda anche i modi di comunicare: ci serve a lavorare, a incontrarci, a governare, ma attraverso la dimensione digitale possiamo farlo senza aver bisogno di spostarci e andare chissà dove sprecando energie o producendo inquinamento. Allo stesso tempo abbiamo bisogno anche di muoverci: di spostarci, di andare in bicicletta, di fare le camminate, di essere vicini alla natura.

 

 

MCB: In effetti da quel che dici mi sembra di osservare un profondo cambiamento rispetto al passato. Da ormai moltissimi anni si parla della città diffusa, di cui il Veneto è stato per esempio un modello molto studiato. Una città fuori dalla città compatta, che non è solo periferia né suburbanizzazione ma è una vera e propria città. Da questo riflessione mi pare di osservare due cambiamenti di paradigma: da un lato la città arcipelago è una città non perché c’è solamente il “grigio elettrico”, gli elementi urbani (che erano poi quelli considerati caratterizzanti per la città diffusa), ma perché piuttosto c’è una combinazione virtuosa tra grigio e verde, verde e blu, blu e giallo. Dall’altro lato mi sembra che le cose che pensi rispetto al ruolo del digitale, a come possa ridurre moltissimo problemi e questioni della città diffusa, mettano in luce una dimensione digitale o mediale della stessa città arcipelago, che proprio per questo è anche potenzialmente più sostenibile della città densa.

MP: Certamente. Abbiamo bisogno di aria!
Con il virus ci siamo accorti che stare schiacciati in una città per giorni e mesi è mostruoso. Il fenomeno dell’imprigionamento urbano, che non avevamo ancora mai avvertito, è venuto alla luce. Ecco quindi in tanti andare fuori dalla grande città: in un posto dove “almeno lì” puoi uscire, far due passi nel verde, respirare senza paura. A Cittadellarte questo fenomeno lo vediamo da tanti anni, e mai come oggi desideriamo vivere nel verde che ci sta intorno. Questo bisogno sta portando la gente a cercarsi una casa altrove.

MCB: Quali potrebbero essere i rischi della città arcipelago?

MP: I rischi ci saranno, come sempre, e vanno scoperti man mano che si presentano. Non si può dire che non ve ne siano perché l’umanità è capace già da sé di crear problemi a se stessa. Però creare una modalità per affrontarli è fondamentale, e quel “coro” che è la società non può essere improvvisato ma ha bisogno di un metodo. Se riusciamo a fare bene una città arcipelago stiamo già rappresentando la società e un modo di funzionare. Che dovrà occuparsi dei servizi, della mobilità, della comunicazione anche fisica. Ridimensionando la monocultura industriale e trovando un equilibrio plurale con l’agricoltura e la natura, rispecchiando in fondo la democrazia stessa, che nasce dall’interazione, e non da una situazione monolitica e verticale.

 

 

MCB: Come funzionano nella città arcipelago i diritti e la gerarchia spaziale? Quando noi decidiamo dove deve stare un edificio, dove sono i luoghi della produzione, dei servizi, i luoghi dove si amministra, quelli in cui si abita, stiamo distribuendo dei diritti e costruendo delle gerarchie. Che spesso generano dinamiche verticali, e disuguaglianze, perché qualcosa conta più di qualcos’altro. Come fare in modo che questa necessaria pianificazione urbana non diventi il capovolgimento dell’idea di partenza, costruendo gerarchie che mancano l’obiettivo della ridistribuzione?

MP: Il riferimento per noi è quello che prima ho definito “demopratica”. In questo modello, le leggi non sono più impartite dagli specialisti che stanno in alto, che assumono tutte le responsabilità ma contemporaneamente anche tutta la possibilità di decidere. In questo modello che proponiamo, gli attori principali sono le forme organizzate della società: associazioni di categoria, corporazioni, organizzazioni minime, medie… che si ritrovano per partecipare alle decisioni in quelli che abbiamo chiamato Forum. Non forum di individui o di specialisti della politica, ma di organizzazioni pratiche già esistenti che hanno nei territori una funzione precisa e che si reggono attraverso una loro organizzazione interna, un piccolo governo interno. Mettere un sistema arcipelago in moto vuol discutere non con una singola industria, ma con un sistema di industrie: tutti assumono un peso e possono stare in equilibrio per corrispondere ai bisogni comuni.

MCB: A Cittadellarte si è molto lavorato negli ultimi anni al tema dell’architettura sostenibile e della bioedilizia. Come si costruisce la città arcipelago?

MP: In questo momento non possiamo pensare più molto alla costruzione singola ma dobbiamo pensare all’urbanistica. Oggi, prima di tutto, bisogna risolvere il problema urbanistico, e solo dopo si può pensare a come costruire. Abbiamo già capito che si può costruire con materiali naturali eccezionali come la paglia di riso, come si può fare qui nel Biellese, ma un territorio diventa sostenibile per merito di un’urbanistica sostenibile.

MCB: Quando si parte?

MP: Noi siamo già partiti. Ne stiamo parlando da tempo e ci stiamo lavorando. La fortuna di aver avuto il riconoscimento da parte dell’UNESCO come città creativa ci impegna a realizzarlo. Se non lo riusciamo ad attivarlo qui a Biella vuol dire che tutto quello che abbiamo realizzato come Cittadellarte non servirebbe un granché.

MCB: Proviamo a costruire una lezione, insomma. Negli anni ‘70 si diceva di “Imparare da Las Vegas”, studiando il modo in cui il turbocapitalismo e il commercio generavano una città disordinata fatta di insegne luminose e architetture postmoderne e immaginando una nuova architettura e una nuova città figlia di quel modello. Potremmo dire oggi invece di “imparare da Biella”?

MP: La lezione di Biella, sì, che si costruisce però un pezzo per volta mettendo soprattutto
insieme quello che già funziona e dimostrando che la città arcipelago è un modello sostenibile. Per farlo serve l’accordo delle istituzioni, ma anche delle organizzazioni private, perché assumendo una responsabilità di condivisione e decisione comune, diventano in qualche modo pubbliche, eliminando la netta separazione tra pubblico e privato. La città arcipelago si costruisce trovando un nuovo equilibrio non solo tra gli spazi, tra la natura e la città, tra il verde e il grigio, ma soprattutto tra gli attori, tra il pubblico e il privato, affrontando uno di problemi più importanti del secolo scorso. Un equilibrio che è una continua ricerca creativa, ovvero tipica dell’attività di creazione propria dell’Arte.

MCB: Torna il confine, la differenza e l’equilibrio tra mare e isole come nodo su cui bisogna lavorare sempre?

MP: Assolutamente. L’equilibrio sta nel come ci dividiamo e nel come ci riuniamo. Continuamente.