Etica è la coscienza dell’agire – Franco «Bifo» Berardi

Il concetto di etica va sottratto all’illusione romantica di una libertà illimitata dell’azione. Solo l’abbandono della pretesa supremazia dell’umano permetterà di entrare in sintonia con il tempo che viviamo

di: Franco «Bifo» Berardi

Cosa fare quando non c’è più niente da fare? Il libro Disertate di Franco “Bifo” Berardi, pubblicato da Timeo, tenta di rispondere a questa domanda attraverso un’analisi impietosa del nostro presente caratterizzato da guerra, pandemia, crisi ecologica, povertà diffusa e governance algoritmica. L’azione etica non può prescindere dalla reale situazione in cui siamo immersi e dall’analisi critica di una società sempre meno umana.
Ringraziamo l’editore per la possibilità concessa.

 

 

 

Etica concerne, in greco, la ricerca di una buona «maniera d’essere», o la saggezza dell’azione. […] E saggio è colui che, sapendo discernere le cose che dipendono da lui da quelle che non dipendono da lui, organizza la sua volontà attorno alle prime e sopporta impassibile le seconde.
Alain Badiou, Etica. Saggio sulla coscienza del male

 

 

 

 

 

Quali cose dipendono dalla nostra azione volontaria, nella situazione presente? E quali cose sono invece irrimediabili, sfuggite alla nostra capacità di azione efficace? Come possiamo affrontare quelle che non possiamo più rimediare?

Quando si parla di scelta etica si suppone che l’agire di cui abbiamo coscienza sia un agire libero. Un’etica senza libero arbitrio sarebbe infatti mera descrizione delle condizioni entro le quali l’azione si svolge. Queste condizioni sono le forme di vita della comunità in cui nasciamo, in cui ci formiamo, con cui interagiamo durante il tempo dell’esistenza, ma anche le regole culturali tacitamente presupposte, le istituzioni politiche di cui siamo solo in minima parte responsabili, le condizioni economiche che in generale ci si presentano come costrizioni ineluttabili. Inoltre ci sono i processi irreversibili, come il decadere degli organismi nel tempo, e infine ci sono le modalità di elaborazione psichica delle emozioni suscitate dal rapporto con gli altri: la rabbia, il desiderio, l’invidia, la competizione, l’affetto, la solidarietà e tutte le sfumature che sono riconducibili alla composizione di questi sentimenti.

Queste condizioni, e molte altre, sono i limiti che modellano e restringono la capacità di scegliere liberamente. La prima questione che incontriamo, dunque, è quella della libertà. Se l’azione è rigidamente determinata dalle condizioni in cui si forma il soggetto, non possiamo parlare di azione etica.
Il pensiero moderno ha trasformato la questione dell’indeterminazione in una sorta di feticcio mitico, e ha attribuito alla parola «libertà» un valore ideologico e politico del tutto esorbitante e privo di un fondamento filosofico efficace.

Il liberalismo che ha accompagnato lo sviluppo storico ed economico moderno fa della libertà un valore assoluto: lo spazio indeterminato entro il quale la potenza di agire si manifesta.
L’esperienza storica e l’esperienza esistenziale di ciascuno di noi mostrano quanto questa mitologia politica della libertà sia infondata. Non siamo infatti liberi di compiere un’azione se non abbiamo la potenza di compierla. Non si dà libertà di azione se non entro i limiti della potenza.
Perciò il concetto di etica va anzitutto sottratto all’illusione romantica di una illimitata libertà dell’azione. Abbandonata la pretesa di onnipotenza del sapere e della volontà, si capisce quanto sia inutile (e pericoloso) reagire alla crisi presente con l’esercizio inflessibile della volontà.

Solo l’abbandono della pretesa supremazia dell’umano, soltanto una relazione non gerarchica con l’altro (la natura, la società) permetterà di entrare in sintonia con il caos e di riconoscerne il ritmo.
Il concetto di libertà emerge nella prospettiva umanistica come libero arbitrio, come indipendenza della volontà umana dalla volontà di Dio, ma anche come efficacia dell’azione libera. Si tratta di due facce distinte della nozione di libertà: senza indipendenza, l’azione umana è solo una manifestazione della Provvidenza, e senza efficacia politica la volontà è solo un vacuo agitarsi senza conseguenze pratiche.

Il pensiero umanistico emancipa Adamo, e soprattutto Eva, dalla prefigurazione provvidenziale, e quindi attribuisce all’uomo (e soprattutto alla donna) la facoltà di scegliere tra alternative: il peccato originale acquista allora una valenza positiva grazie alla storia umana che ne è la conseguenza.
Dio limita la sua invadenza per lasciare agli umani la possibilità di compiere azioni che non corrispondono alla sua legge, ma istituiscono una dimensione dell’agire che non è modellata dalla volontà onnipotente. Dio ha voluto la sua creatura indipendente dalla Provvidenza, cioè dall’onniscienza onnipotente della volontà divina. Fin dall’inizio dunque il libero arbitrio si presenta come uno scandalo, come un paradosso.

Potenza della volontà e libertà dell’azione volontaria sono le due condizioni entro le quali si svolge la storia politica dell’epoca moderna. Ma queste due condizioni non si danno in natura, non sono intrinseche alla storia umana, né sono fra loro indissociabili. Dopo l’affermazione dell’indipendenza della scelta umana dalla volontà di Dio, l’umanesimo evolve fino ad attribuire alla volontà una potenza esorbitante, quando la volontà libera incontra la conoscenza.
La tecnica, forma concreta e attiva della conoscenza e al tempo stesso motore pratico della sottomissione della natura a un’economia in espansione costante, conferisce agli uomini una potenza che non riesce a concepire alcun limite.

La storia moderna dell’occidente si svolge a partire dall’assunzione indimostrata di un’onnipotenza della volontà che rende possibile l’illimitatezza della potenza storica. Ma l’esperienza ci ha mostrato il carattere illusorio di questa presupposizione su cui si fonda la retorica politica del mondo occidentale.
Poiché l’azione si svolge entro limitazioni culturali e psichiche che circoscrivono lo spazio della volontà all’interno di limitazioni materiali che determinano l’ambito della possibilità, dobbiamo riconoscere che la scelta etica non si compie in uno spazio indeterminato e originario, ma solo entro quello della potenza. Ciò significa che non siamo liberi di compiere qualsiasi scelta, ma siamo liberi di fare quel che la nostra formazione psico-culturale rende immaginabile e quel che la nostra potenza ci permette di ottenere, date le circostanze materiali entro le quali quell’azione si svolgerebbe.

Ciò significa che la libertà si inscrive nello spazio della potenza, e non viceversa. Questa è la lezione di Baruch Spinoza, che fa della potenza il concetto centrale della dinamica stessa dell’agire etico. Non la volontà, ma le passioni, le affezioni dell’anima e le modulazioni della mente costituiscono il campo in cui Spinoza concepisce l’azione etica.
Etica dunque è la coscienza dell’agire, ma l’agire non è libero in senso assoluto: la sua libertà è limitata dalle condizioni in cui la scelta si compie.
Se uso la parola «etica» non intendo affermare l’incondizionata libertà del volere, ma intendo cercare le condizioni esistenziali, epistemiche e psichiche che limitano la scelta, o piuttosto che la mettono in forma.

Quando, ad esempio Max Weber usa l’espressione «etica protestante» si riferisce proprio a quelle condizioni religiose e culturali che rendono possibile la formazione di quello che lui stesso chiama «spirito del capitalismo». L’etica non è coscienza di un’azione libera, ma coscienza «libera» di un’azione condizionata.
Fatte queste premesse possiamo ora dire che le condizioni della scelta etico-politica sono mutate nel passaggio tardo-moderno: la potenza della volontà si misura infatti con l’ambiente in cui la volontà si forma e in cui l’azione si svolge. Nella tarda modernità abbiamo assistito all’ingigantimento della potenza della tecnica, che è stata accompagnata dall’aumento della complessità dell’ambiente tecnico, che è sviluppato secondo le necessità del capitalismo. Il capitalismo ha finito quindi per prendere le fattezze di un sistema onnipotente di fronte al quale sia la volontà degli individui che la volontà della maggioranza organizzata non contano nulla.

Perciò negli ultimi decenni, da quando il neoliberismo ha liberato la dinamica dell’accumulazione di capitale e dell’estrazione di plusvalore dall’interesse collettivo, cioè ha sottomesso l’attività sociale all’interesse privato, la parola libertà ha finito per funzionare come un’illusione ingannevole, il cui effetto ideologico è stato quello di accrescere la potenza del capitale e delle macchine e di ridurre la potenza (quindi la libertà) della volontà umana.
L’etica democratica ha finito per funzionare come una trappola cinica in cui la volontà collettiva, resa impotente, si è spenta.

Durante l’epoca moderna la scienza e la politica sono state capaci di ridurre la complessità del mondo alla regolarità delle leggi fisiche e all’intenzionalità delle leggi politiche. Quella riduzione ha avuto un’efficacia indiscutibile, perché ha reso possibile la creazione di un universo tecnico fondato sulle leggi di causalità, di determinazione e di prevedibilità. Ma quell’efficacia era legata a particolari condizioni tecniche della modernità. Nel passaggio tardo-moderno la potenza conoscitiva e pratica si è ridotta per effetto dell’aumento di complessità e di potenza della tecnica. La tecnica, prodotto della mente umana che in un primo momento ha saputo esaltare la potenza della mente nel dominio sull’ambiente naturale, ha poi avuto l’effetto di ridimensionare la potenza della mente umana stessa in relazione alla sfera tecnica, che ha preso il posto di seconda natura.

La scienza classica ha costruito il suo castello sull’ipotesi di una determinazione causale riconoscibile e ripetibile, ma quanto più gli strumenti di indagine scientifica si sono fatti raffinati tanto più è emerso il carattere indeterministico dei processi fisici di cui essa si occupa. La regolarità delle leggi meccaniche si è rivelata incapace di esaurire la complessità della materia subatomica, e a questo punto il paradigma causale meccanico è stato parzialmente sostituito, o integrato, con un paradigma indeterministico.
Ma al tempo stesso, sul piano politico, la decisione volontaria si è rivelata sempre meno efficace e sempre meno libera, dal momento in cui l’ambiente in cui l’azione politica si svolge si è fatto sempre più complesso, fino a sfuggire alle capacità di comprensione e decisione umane.

Quanto più la complessità prevale rispetto alla capacità di scelta, decisione e azione efficace, tanto più la volontà e la decisione vengono sostituite con automatismi. La scienza e la politica sono incapaci di padroneggiare i micro-processi biologici e neurologici, e i macro-processi catastrofici planetari che il capitalismo estrattivista ha provocato. La potenza della politica moderna è andata perciò dissolvendosi, e al suo posto vediamo la patetica scena di confusione mentale e di impotenza pratica della democrazia contemporanea.
Coloro che si avvantaggiano degli automatismi iscritti nella tecnica e nell’economia si nascondono dietro la finzione di una decisione democratica, ma la decisione democratica in effetti non decide su niente, o almeno decide sempre meno, perché il matrimonio di tecnica ed economia ha ridotto quasi a nulla il margine di alternativa.

Il matrimonio di tecnica ed economia ha costruito un ordine che sfugge alla decisione politica e si fa sempre più complesso, sempre più fitto di interdipendenze automatiche, ma la stessa complessità dei questo ordine lo porta a limite dell’ingovernabilità e dell’inconoscibilità, fino al punto in cui attori caotici imprevedibili e apparentemente marginali possono paralizzare la macchina automatica della decisione, fino a rivelare non solo l’impotenza della politica, ma anche l’impotenza della stessa tecnica, degli stessi automatismi.
Durante la pandemia, il Covid-19 ha agito come un fattore caotico che ha messo in crisi le catene automatiche dell’ordine sociale, fin quando la tecnica vaccinale ha prodotto sostanze capaci di ridurne l’effetto patogeno e mortifero, ma creando al tempo stesso nuove catene di automatismo legate alla pratica della disciplina sanitaria.

Allo stesso modo, l’inquinamento prodotto dall’attività produttiva sociale ha determinato effetti di caos sul clima e sul futuro del pianeta: ci troviamo di fronte a fenomeni che sono contemporaneamente troppo complessi e troppo grandi per poterli ridurre alla misura della volontà e della ragione. Alcuni dei processi catastrofici che sconvolgono il pianeta hanno carattere di irreversibilità e di auto-eccitazione cui la politica non sa e non può porre rimedio.
Le condizioni rivelate dalla pandemia, ma anche dalle catastrofi ambientali sempre più frequenti e ingestibili, lacerano il velo della potenza politica, rivelano l’inadeguatezza della democrazia ad affrontare gli effetti destrutturanti della crescita illimitata. La tecnica, che in passato ha accresciuto la potenza della nostra volontà organizzata, ha finito per costruire una macchina globale che sopravanza e annichilisce quella potenza stessa.

L’impotenza che proviamo di fronte a fattori caotici ingovernabili come il virus o il cambiamento climatico alimenta un senso di rabbia, di frustrazione, di umiliazione, e alla fine di aggressività. In questo sentimento di impotenza e dismisura trovano la loro radice materiale e la propria motivazione i movimenti neo-reazionari e sovranisti che si sono diffusi in tutto il mondo negli ultimi cinque sei anni, a cominciare dalla vittoria di Trump nelle elezioni americane. La reazione sovranista mira a riaffermare la potenza governante della nazione, con le sue gerarchie di potere razziale sessuale ed economico. Naturalmente questa pretesa di sottomettere il caos all’ordine della sovranità nazionale è destinata a fallire, ma non per questo la pulsione aggressiva si riduce, anzi.

Quanto più i governi autoritari falliscono nel loro tentativo di sottomettere il caos, tanto più accentuano il loro carattere dispotico, fino a mettere in moto processi di aggressione come la guerra che il sovranismo putiniano ha scatenato contro l’Ucraina e contro l’intero mondo occidentale. In queste condizioni ogni discorso sulla libertà, sulla democrazia o sulla restaurazione dell’ordine tradizionale non è che la rabbiosa rivendicazione di un potere che non ha più fondamento.

Di fronte alle macro-forze della natura violentata o di fronte alle micro-forze della proliferazione virale, o della disgregazione psico-fisica prodotta dall’invecchiamento, la volontà è impotente. L’affermazione di Francis Bacon secondo la quale la conoscenza è uno strumento per accrescere il nostro potere, in questo quadro, non soltanto si svuota, ma in qualche misura si rovescia nel suo contrario: quanto più grande è la nostra conoscenza e la sua applicazione tecnica, tanto più lo spazio della nostra libertà e della nostra potenza si fa minuscolo e quasi inesistente.