Creiamo risonanza e progettiamo il cambiamento

Intervista a Massimiliano Datti [Direttore ISIA Roma] e Giuseppe Marinelli [Direttore scientifico della Pordenone Design Week] su Didattica a Distanza e gli eventi culturali on-line

di: Redazione

Redazione

Attività accademica e vita culturale tra distanziamento fisico e possibilità digitali

 

La Didattica a Distanza o DaD sempre più riguarda moltissime persone di ogni età. Come Accademia UNIDEE abbiamo avviato da tempo una riflessione a riguardo che cerca di evidenziarne gli aspetti potenziali e di contenere e ovviare le inevitabili criticità.
In questa sede abbiamo pubblicato un articolo del nostro Coordinatore didattico, il Professore Michele Cerrti But che bene illustra quale sia il nostro approccio. Lo potete leggere qui.
Proprio perché è un tema complesso, a cui teniamo particolarmente, abbiamo pensato fosse utile provare ad approfondirlo, rivolgendo alcune domande a chi ha già una buona esperienza a riguardo – sia per la didattica che per gli eventi culturali – e subito abbiamo pensato di contattare Massimiliano Datti – Direttore dell’ISIA di Roma e Docente di Design a Roma, Pescara e presso il Corso Decentrato di Pordenone – e Giuseppe Marinelli De Marco – Docente all’ISIA di Roma e all’Università di Udine, nonché ideatore e Direttore scientifico della Pordenone Design Week che ringraziamo per la disponibilità.
Ne è venuta fuori una lunga intervista piena di spunti e considerazioni utili.

 

Cominciamo dalla didattica on-line. Prima di tutto, come avvengono le vostre lezioni?

Giuseppe Marinelli – Immagino che come per tutti, avvengano con un grande senso di straniamento poiché non soltanto il corpo ha i suoi linguaggi ma possiamo dire tranquillamente che il corpo, immettendo ”Pathos” nel ”Logos”, completa ed orienta la trama di significati che inviamo e dunque in un certo senso il corpo “è” il linguaggio per eccellenza. Rinunciare al corpo, è rinunciare ad un aspetto cruciale del nostro comunicare, perciò non è una realtà da derubricare così velocemente. Tuttavia nonostante il corpo con la sua realtà fisica, sostiene e sosterrà egregiamente la nostra strategia comunicativa, un buon uso ragionato e integrativo dello strumento telematico è non solo fattibile, come dimostra l’esperienza in corso, ma senza dubbio auspicabile.

 

Vi sembra una soluzione soddisfacente ed efficace, e perché?

Giuseppe Marinelli – Con la DaD si avvera il principio cardine della società postindustriale per cui invece di spostare persone spostiamo informazioni, che come affermano sia Manuel Castells che Jeremy Rifkin, sono la vera merce della terza rivoluzione industriale. Dunque spostiamo immaterialità che pesa pochissimo in rapporto a quanto vale invece come valore economico oltre essere facilissima da trasportare. Le autostrade perciò diventano informatiche e diciamo addio ai centimetri e ai kg.
Pur tralasciando le diffuse considerazioni sull’incremento della sostenibilità (elimina traffico, inquinamento, tempi morti da pendolarismo, contrasta lo spreco, pensiamo alle grandi città, per non parlare che ci permette di interagire con realtà del pianeta molto lontane, altrimenti impossibile) abbiamo il fatto che entro una certa soglia aumenta e favorisce la concentrazione intellettuale.
I progetti dei ragazzi sembrano più lucidi e il fatto di creare una identità che incolla ineluttabilmente sito e situazione (nel senso che letteralmente non mi muovo da casa) fa assomigliare il nostro set di lavoro un po’ alla scrivania di Ph. Marlowe o alla cattedra di Indiana Jones, o, addirittura alla postazione operativa del capitano Kirk nella sua sfavillante Enterprise. Ecco noi ogni giorno alla stessa ora, ovviamente ora stellare, ci sediamo e comunichiamo il nostro progetto con la Terra, non è poi così male.

 

Quindi le vostre esperienze sono interamente positive? Quali sono le vostre considerazioni a riguardo?

Massimiliano Datti – Riprendo le stesse domande già affrontate egregiamente dal Prof. Marinelli, per rispondervi da un altro punto di vista, quello di chi, guidando attualmente l’ISIA di Roma e Pordenone come Direttore, ha dovuto impostare una DaD e “forzarla” nel sistema, per altro in corso. Una delle peculiarità di tutti gli ISIA è la “vicinanza” fra Docenti e Studenti. Da sempre lavoriamo su piccoli numeri e la dimensione umana contribuisce alla costruzione di un ambiente informale, che esalta la spontaneità e la creatività delle persone, in maniera reciproca. Da circa quattro anni a Roma avevamo attivato un progetto, denominato ISIA-D, che aveva l’intento di sperimentare la nostra didattica in modalità online.
Nonostante l’interesse iniziale, lo slancio in particolare di giovani leve che hanno studiato piattaforme e possibilità operative, con molta sincerità devo dire che, al momento della messa in pratica, non ha portato a risultati di qualità, quelli che avrei sperato, tant’è che a fine 2019 abbiamo chiuso il progetto con mio personale rammarico. Poi è arrivata la pandemia e l’emergenza ha creato, con una velocità incredibile, uno shock e un repentino spostamento di tutta la nostra didattica in presenza in modalità online, nell’arco di pochissimi giorni!
Dal punto di vista meramente quantitativo, sostanzialmente non abbiamo perso ore rispetto ai piani degli studi, con l’unica eccezione dei laboratori di modellistica. Sottolineo dal punto di vista quantitativo, perché dal punto di vista qualitativo l’analisi ha dato ovviamente un peso diverso, rivelando aspetti di sicuro interesse, da mantenere e sviluppare, e altri che necessitano di miglioramento o di un ritorno alla presenza.
Dato il contesto attuale e viste le condizioni in cui ci siamo trovati a vivere e ad operare, non posso che ritenere positiva la DaD. Dopo quasi tre mesi di questa pratica quotidiana, posso affermare che ci ha consentito di lavorare seriamente, di rimanere uniti e motivati, di mantenere degli standard qualitativi soddisfacenti, che variano da disciplina a disciplina, e di sperimentare nuove modalità di lavoro sotto tanti punti di vista, alcune delle quali notevoli e che sicuramente manterremo. In generale possiamo parlare della DaD come di una modalità interessante, che plausibilmente andrà ad integrarsi con quella in presenza, col tempo vedremo in che misura.

 

Avete sviluppato una vostra piattaforma o vi affidate a qualche servizio commerciale, e in questo caso, quale?

Giuseppe Marinelli – Non abbiamo progettato nulla di informatico personalizzato ma abbiamo utilizzato Zoom che alla fine si è rivelata affidabile. Per le lezioni usiamo la Suite di Google.
Sono strumenti che l’informatica ti permette di seguire senza particolari imprevisti. Certamente al tempo stesso sono non dico primitivi ma sicuramente elementari, diciamo che in definitiva sono essenziali, ed hanno alcuni deficit evidenti, ma è prevedibile che fra qualche anno le cose possano davvero stupirci come nei film, come ad es le rappresentazioni olografiche e così dicendo.
Mi lasci ribadire un concetto: sembrerebbe che l’evoluzione di questo mezzo appaia come un discorso tutto dentro alle tecnologie, mentre andando più in profondità si capisce che il futuro si gioca invece sulla progettualità, sulle idee, se non lo capiamo peggio per noi, ma più noi progettiamo nuovi scenari colti e profondi della comunicazione, senza rimuovere la democrazia, più le tecnologie saranno necessariamente spinte a dialogare con il nostro progetto.
Ecco una ulteriore buona ragione per impegnarsi a non trattare atomi e bit come fossero pere e mele, parafrasando una frase del grande F. Capra nel suo The Web of life di molti anni fa. Insomma, la palla più o meno sta sempre a noi, è sicuramente faticoso, ma vediamone anche il lato affascinante.

Massimiliano Datti – Seguendo le indicazioni del MUR, abbiamo utilizzato la “g suite” di Google – come già ricordato da Giuseppe Marinelli – e su questa abbiamo calendarizzato inizialmente i corsi, poi gli esami, le tesi e persino la Pordenone Design Week. Non è stato così automatico, perché abbiamo dovuto costruire dei Regolamenti appositi, testando anticipatamente in back office l’operatività di quanto ipotizzavamo di volta in volta, per verificarne l’efficacia e l’affidabilità, coordinando il tutto con la parte amministrativa/gestionale.
Abbiamo rimodulato i carichi frontali, chiedendo ai docenti di alleggerirli e cadenzarli in maniera “smart” lì dove fosse possibile, non tanto in termini di contenuti, quanto in termini di fruibilità degli stessi. Abbiamo lasciato anche una maggiore libertà agli studenti nella fruizione della didattica, cercando di lavorare molto sulla motivazione e l’entusiasmo della sperimentazione.
Anche nei workshop realizzati con persone esterne all’ISIA, proprio in occasione della PNDW, dopo aver creato gruppi di lavoro e sottogruppi, è stata lasciata libertà di scelta sulle piattaforme da utilizzare o combinare fra loro, anche in funzione delle tematiche trattate.

 

Quando la didattica è trasmissione del sapere e quando invece è formazione? Sono entrambi possibili nella DaD?

Giuseppe Marinelli – Questo è davvero un argomento cruciale, che va ben oltre il web e riguarda tutti i sistemi ovunque passi una didattica o una propedeutica a cominciare da quelli tradizionali, parlando della costruzione del sapere nell’era della complessità, Edgar Morin da oltre cinquant’anni ha fatto luce sull’argomento in modo magistrale.
Ora succede che da un lato l’immaterialità della rete fa emergere fortemente questo tipo di problema, ma dall’altro ce lo rende anche più puro. Non vorrei osare troppo ma potrebbe darsi che il web ci possa addirittura aiutare nel trattare questi delicatissimi argomenti tipo chi e come forma chi e cosa e dove, nell’era della complessità.
Se pensiamo che in Finlandia dal 2020, cioè da oggi, nei Licei sono state abolite le materie a vantaggio dell’organizzazione dei piani di studi per tematiche. Un modello direi avveniristico, ma del resto tutto nasce dalla parola latina “intelligenza” il cui etimo proviene dalle parole intus-legere ossia leggere dentro. Leggere dentro i densi intricati e rapidissimi processi imposti da un pianeta politicamente e militarmente multipolare, in era di economia globalizzata e di tempo esponenziale, beh, richiederebbe quanto meno un atto di umiltà teorica e filosofica.
Veniamo da secoli di atomismo analitico riduzionista che sicuramente ha avuto il suo peso, ma oggi possiamo dire che stiamo vivendo una nuova stagione di olismo dinamico e consapevole, lo scarto innovativo si gioca tutto lì, e sulla formazione c’è proprio tanto da lavorare.

Massimiliano Datti – In ISIA sperimentiamo didattica sul Design da quasi 50 anni. In questo ambito siamo stati la prima Istituzione pubblica a creare modelli formativi e a diffonderli e, oggi, continuiamo a farlo con le stesse curiosità, passione e tanto entusiasmo. Le competenze servono e la conoscenza nei campi in cui si opera è fondamentale, vanno dunque trasmesse o create, a seconda delle situazioni. Per nostra natura, da Designer, affrontiamo le tematiche più disparate, alcune consolidate, altre più attuali o in fase di arrivo… quindi più di ogni altra cosa ci interessa la forma mentis, e questo tipo di approccio è primario rispetto alla specializzazione per lo strumento che si sta utilizzando, che sia una piattaforma digitale, un software o un foglio di carta.

 

Pensate di puntare sulla Didattica a Distanza anche passata la pandemia?

Giuseppe Marinelli – Tutto sommato penso di si, anche se credo che sia ancora troppo presto per tentare risposte esaustive, sia perché trattasi di scenario piuttosto ampio e sia perché tutto sommato siamo ancora dentro la fase della scoperta e in qualche misura anche di innamoramento. Sino a ieri per tutti noi questo era pressoché futuribile, oggi l’evidenza della pandemia ce lo fa sembrare indispensabile e il mondo potrebbe anche sembrarci impensabile senza.
Certo è innegabile che la cosa offra contemporaneamente vantaggi inediti e molto appetibili ma anche prezzi umani non secondari, specie per i ragazzi che hanno tutto il diritto di socializzare senza limitazioni di sorta.

Massimiliano Datti – Come già accennato, sicuramente manterremo alcune modalità di lavoro integrandole in maniera strutturale alla didattica, con vantaggi sotto molti punti di vista: maggiore efficacia, meno stress dovuto a spostamenti, maggiore possibilità di coinvolgere persone a distanza (pensiamo alla gestione degli esami di studenti Erasmus, piuttosto che agli interventi di docenti stranieri altrimenti “inavvicinabili”, a volte banalmente per mancanza di fondi per rimborsare gli spostamenti, etc.). Per non parlare dei benefici per l’ambiente, legati alla riduzione degli spostamenti fisici.
Direi che lì dove la didattica ne abbia vantaggi evidenti o comunque non ne abbia perdite qualitative significative, dovrebbe essere presa in considerazione come una modalità necessaria per risparmiare pianeta e persone.

 

Dunque a quali bisogni risponde la DaD e a quali eventualmente non si presta?

Giuseppe Marinelli – Se la vediamo su di un macro scenario, in mezzo a un sistema sociale che crolla, la tecnologia informatica attiva delle procedure e dei protocolli che ti salvano la situazione e milioni di studenti, e di famiglie, hanno evitato di perdere un anno di vita.
Vista più da vicino questa esperienza sicuramente non sarà sporadica ma nemmeno radicalmente sostitutiva, poiché sono veramente troppe le domande di ripristinare una normalità fisica e personalmente sono propenso a vederla piuttosto in una interessante chiave integrativa, aprendo con ciò una pagina importante e delicata in quanto assolutamente inesplorata, e sono certo che alcune realtà come l’uso dei webinar resisteranno e prolifereranno. Senza contare la facilità e la funzionalità con cui possiamo finalmente costruire comunicazioni multimediali vere e proprie come ipertesti o realizzare degli ipermedia, sono sicuro che tutto ciò farà fare un salto di qualità notevole a tutto il sistema della comunicazione e non ultimo anche a tutto un arco generazionale che lavora e produce digitalmente, dai nativi digitali ai “ritardatari“ digitali, quale ad es. chi scrive.
C’è però un messaggio a cui tengo molto e che voglio dire chiaramente: il futuro dell’università non sarà fatto di aule vuote e tutti a casa a giocare a fare Dio con il computer dopo aver mandato in strada i nostri avatar olografici. Il futuro ha bisogno di aule piene di giovani che si incontrano e socializzano, mi auguro sia ancora fatto di graffiti sui muri, di volantini nei corridoi e di aule occupate dalla contestazione studentesca e così via. Lo scenario distopico di una vita digitale surrogata è terribile.

Massimiliano Datti – Dal nostro punto di vista e finché si rimane nell’ambito dell’immateriale, la DaD è in grado di rispondere bene, ma diversamente, a tutte le esigenze didattiche, che vanno ripensate appositamente per questa modalità.
Non è assolutamente possibile pensare di fare online la stessa didattica che si fa in presenza; sarebbe un grave errore, frustrante per tutte le persone coinvolte. Stare connessi poi per molto tempo e continuamente è faticoso, qualunque sia il ruolo, e va evitato per non generare disinteresse e frustrazione. La concentrazione richiesta è altissima e va dunque considerata bene in termini di tempo di erogazione/fruizione dei contenuti, soprattutto nel caso di lezioni frontali.
Anche la metodologia va ripensata in funzione del contesto digitale, mancando l’empatia o comunque tutta quella parte di comunicazione non verbale legata alla visione di un “corpo” dal vero. Sicuramente viene potenziata invece la multimedialità, la possibilità di usufruire di contenuti ulteriori in tempo reale e di poterli condividere con altrettanta velocità. Anche per stimolare la creatività in gruppo, abbiamo utilizzato piattaforme digitali estremamente efficaci e coinvolgenti, in cui abbiamo esperito interazioni autentiche, estremamente produttive dal punto di vista creativo.
D’altronde se pensiamo che oggi, molti dei videogame più in voga, permettono ai partecipanti di incontrarsi e condividere, veramente, esperienze online (e questo da molto tempo prima dell’avvento del Covid), evidentemente c’è una dimensione nel digitale, che ha ancora un potenziale inespresso, da valorizzare in molti campi applicativi, fra cui quello della didattica!
Viceversa, la DaD trova un suo limite nel momento in cui la fisicità diventa un fattore peculiare dell’esperienza di apprendimento, come per esempio in tutte quelle discipline laboratoriali, in cui i modelli fisici sono fondamentali: basti pensare nell’ambito del Design alla realizzazione di modelli di studio o prototipi e alla loro fondamentale condivisione ai fini didattici.
Certo le stampanti 3D sono una possibilità, ma costituiscono soltanto una parte dell’esperienza laboratoriale. In questi casi abbiamo ripiegato su altro, facendo richieste diverse da quelle abituali agli studenti, adeguandole alle possibilità domestiche, piuttosto che rinviandole a tempi migliori o cambiandone completamento l’oggetto.

 

Che tipo di riscontri avete avuto, se ci sono stati? Ossia, quali sono i feedback da parte di studenti, docenti e colleghi?

Giuseppe Marinelli – Dopo tre intensi mesi di teledidattica so con certezza che sia per il docente ma in particolare per lo studente, la teledidattica è piuttosto pesante e faticosa.
Basandomi sulla esperienza, e proprio perché i feedback sono arrivati in quantità, e ricollegandomi direttamente anche alla seconda domanda su didattica e formazione mi permetto di suggerire due cose: 1) articolare più possibile la lezione declassando la didattica frontale ove possibile e riequilibrarla con altre modalità di apprendimento che possano attivare altri canali percettivi tipo filmati musica suoni etc etc; 2) creare molte pause, non abbiamo paura dei silenzi il vero problema è creare da subito un clima informale e allegro, parlare d’altro lasciarli parlare.
Siccome la DaD è una specie di aguzzino che non ti fa mai prendere fiato ma ti costringe ad un produttività in ”apnea” costante, impossessiamoci noi del tempo e creiamo noi un “mood“ adatto e metaforicamente parlando verniciamo i muri e coloriamo le stanze.
Quello che non va fatto è applicare pedissequamente lo schema dal vivo allo schema a distanza, come se la didattica fosse solo una questione di parole e dunque o vicino o lontano non cambia nulla.
È apparso evidente che la lezione più è varia e usa molti media, e più funziona bene, del resto è più che corretto usare un mezzo per quello per cui è nato, come dire che un libro non è un film, ma se un libro non è un film anche un film non è un libro poiché tutti e due propongono esperienze percettive molto diverse e dunque attivano nell’intelligenza emotiva e cognitiva dei recettori diversi, in entrambi i casi si è capito che una DaD sarà una realtà composita.

Massimiliano Datti – Di feedback ne sono arrivati molti: all’inizio c’è stato parecchio stress dovuto alla novità, all’incertezza nell’uso di nuovi strumenti, alla costruzione e al conseguente adeguamento di un servizio di assistenza alla DaD, che consentisse la messa a regime del tutto.
Successivamente, passata lo stress ma anche l’euforia iniziale, è arrivato il peso della DaD, che da un lato richiede una iper concentrazione, dall’altro fa inevitabilmente i conti con contesti domestici e famigliari di ogni sorta. Aspetto non banale, anzi preponderante, che mi ha indotto dopo solo due settimane, a moderare la didattica con pause e interruzioni adeguate e programmate, per dare respiro a docenti, studenti e rispettive famiglie per gestire con flessibilità lavoro e vita privata.
Diciamo che quando questa emergenza sarà passata e i contesti familiari avranno trovato un nuovo equilibrio, con molta probabilità la DaD sarà ancora più “sostenibile”, in termini psicologici e sociali, di quanto non lo sia attualmente.
Direi che attualmente stiamo vivendo una terza fase, in cui la stimiamo come acquisita e questo ci sta permettendo di digitalizzare anche altri aspetti legati alla gestione didattica e persino amministrativa.
È stata superata, volenti o nolenti, la diffidenza da digitale, quella di cui ho parlato all’inizio, ed è un buon momento per compiere un salto culturale, sociale ed economico, per cominciare a valutare concretamente come sfruttare il know-how e la propensione al digitale acquisiti, anche da parte di generazioni fino a ieri poco o per niente avvezze a questa dimensione.

 

Per quanto riguarda il mondo della cultura e alle sue tante iniziative tradizionalmente dal vivo, pensate che la soluzione di portare gli eventi on-line possa rappresentare una valida alternativa?

Giuseppe Marinelli – Negli eventi legati all’offerta culturale quest’anno abbiamo voluto trasferire nel mondo immateriale il progetto della Des Week che è il più materiale che esiste, dando così vita ad un inedito assoluto. In qualità di Absolute Beginners, abbiamo riprogettato la nona edizione della Pordenone Design Week on line: A) nella componente fondamentale dei workshop fatti dall’ISIA di Roma, sede di Pordenone, con le aziende del territorio; B ) dando vita a due cicli di webinar di cui il primo sta già raccogliendo un enorme successo, attirando un pubblico di quasi duecento persone a sera, che come prima esperienza è da ritenersi notevole; C ) stiamo allestendo una mostra multimediale importantissima sul concetto di sostenibilità tutta on line; D ) a Dicembre invece ripristiniamo in modalità fisica l’evento delle lezioni di design nei negozi della città che è l’unico che è impossibile dematerializzare, accompagnando il tutto con un contest “Design for Xristmas-Xristmas for Design“ .

Massimiliano Datti – Penso che stiamo ancora apprendendo e il potenziale dell’online sia enorme, ma non lo intendo come una alternativa, nel senso che una cosa esclude l’altra o addirittura non esistano ulteriori possibilità. Siamo diventati da tempo, e più che mai in quest’occasione, esseri estremamente complessi, capaci di vivere, letteralmente vivere, molti spazi al tempo stesso, persino restando nella stessa stanza per mesi.
Questa è realmente una grande possibilità, che permette una produttività senza precedenti, così come una proliferazione di contenuti gigantesca e dispersiva. Il problema non penso siano gli strumenti o gli spazi, se intesi come complementari fra loro, bensì la qualità di quello che produrremo e il beneficio, ambientale, umano, culturale e spirituale che sapremo realizzare, digitale o materiale che sia.

 

Quali sono secondo voi i modelli, i metodi o le formule che funzionano meglio?

Giuseppe Marinelli – Più che formule vedo una questione di atteggiamento che può fare la differenza e i modelli più interessanti sono solo quelli progettati con cura e che non trattano il web come fosse qualcos’altro.
Le faccio un esempio: con i Workshop abbiamo dato vita ad una esperienza credo unica in assoluto nel panorama progettuale italiano ed europeo di arte architettura e design, poiché abbiamo progettato a distanza su dieci tavoli virtuali, su esplicito brief delle aziende, dunque non una simulazione ma una vera e propria richiesta di prodotti o di servizi o di scenari per dieci imprese di cui molte leader del loro settore.
Abbiamo creato delle stanze virtuali che servivano a dare l’idea di uno spazio reale, ogni tot ore c’era un appuntamento in quella o quell’altra stanza. Una esperienza sicuramente un po’ straniante ma almeno il logos ha funzionato benissimo, si pensi che fra studenti docenti tutor manager ed esperti vari, aziende con i loro responsabili e quadri aziendali, si sono mobilitate circa trecento persone, sparse in tutta Italia, fino in Svezia. Alla fine è apparso il disegno di un successo di grandi proporzioni, tutti felici e le industrie estremamente soddisfatte del risultato.
Teniamo presente che queste trecento persone stavano una per una, tutte sole solette a casa loro, collegate solo via web. Ovviamente per gestire la cosa al meglio è stata progettata una complessa architettura organizzativa e comunicativa, forse anche ridondante ma la ridondanza si è rivelata una ottima mossa progettuale poiché ha coperto tutti i possibili buchi e non ha permesso mai che un singolo studente fosse o lasciato da solo o tagliato fuori dai processi che contano, abbiamo coinvolto e sostenuto sempre tutti. Questa è stata una mossa giusta e vincente. Certo una mossa che è costata in termini economici per via del capitale umano, ma è anche il “core” della democrazia.
En passant questo della democrazia sarà un aspetto di cui sentiremo parlare magari non subito ma fra un po’, e sarà un grosso nodo digitale, poiché la rete telematica per funzionare necessita di non avere varianti o imprevisti, e tende a rendere legiferante ogni passaggio progettuale, e quello che dal vivo è ammortizzabile con uno sguardo, o con un sorriso, nel web non trova resistenza e si presta a scivolare in un mondo panoptico fatto di controllo e sorveglianza, o quanto meno cibernetico ma “imbruttito“.

Massimiliano Datti – Dal punto di vista della sperimentazione della DaD in ISIA a Roma, come detto, siamo appena agli inizi. Per quanto abbiamo appreso fin qui, direi che più che modelli o metodi precisi, occorrano attitudine alla sperimentazione e grande flessibilità per sfruttare adeguatamente la DaD e poterla valorizzare per quello che è, e non per quello che non sarà mai e non è utile che sia.

 

Come cambiano gli eventi culturali? Cosa diventano?

Giuseppe Marinelli —- Direi che non solo cambiano ma devono cambiare, ad es i nostri I webinar erano interattivi, da qui la grande differenza con altre esperienze a noi vicine, preceduti tutti da un filmato introduttivo di pochi minuti sul tema della serata, ad es, la cucina del futuro, l’aula del futuro, il negozio del futuro, o come sarà l’azienda del futuro. Il tutto costruito in collaborazione con il Biennio Magistrale in Comunicazione Multimediale e Tecnologie dell’Informazione dell’Università di Udine.
Abbiamo quindi progettato assieme al Complexity Edcation Project un impianto interattivo molto convincente che produce ben due riscontri visivi con due strutture, anche complesse, di web semantico ottenute grazie al rapporto col pubblico che si è rivelato un perfetto mattatore. Una è un cloud di parole miste speaker-pubblico, e la seconda è una rete dinamica di significati che tracciano le relazioni più forti che emergono man mano durante la serata.
Per me le cose stanno così: la sfida on line è chiaramente una sfida progettuale e non tecnica e noi dobbiamo impegnarci a riprogettare le esperienze sapendo che abbiamo a disposizione un nuovo universo di linguaggi che – benché mai in modo sostitutivo – ma possono offrire nuove pratiche semiotiche nuove su cui dappertutto nel mondo da tempo si lavora, ed è il caso di iniziare a provarci seriamente.