di: Alessandro Tagariello, da Opera Viva
In queste settimane così convulse e irrespirabili, c’è qualcosa che ha preso sostanza e che ha il gusto acre di un ossimoro: la didattica a distanza. E ci viene subito in mente il bel titolo di una pellicola cinematografica, Così lontano così vicino, di Wim Wenders. Senza un particolare sforzo, questa suggestione ci permette di accostarci a questa inedita pratica ministeriale, dove la metafisica degli angeli (e si sa che gli angeli non hanno sesso come le macchine tecniche del terzo millennio, ma ne sanno una più del diavolo!) fa tutt’uno col desiderio carnale di succhiare vita umana. Dice l’angelo Cassiel nel film: «Come vorrei essere per una volta uno di loro! Vedere con i loro occhi, ascoltare con le loro orecchie, e decifrare come vivono il tempo, e subiscono la morte. Come sentono l’amore e percepiscono il mondo. Essere uno di loro, per diventare un più luminoso messaggero di luce in questa epoca buia».
C’è forse bisogno di aggiungere altro? Sembra quasi fatto apposta per permetterci di scendere dall’Empireo pulviscolare dei desiderata angelici – invisibili quanto una trasmissione dati -, alla materialità asfissiante di questi giorni. Si, certo, si muore (eccome!), e dunque bisogna stare a casa, ma a casa la didattica (o almeno quello che si indica con tale termine) deve andare avanti, mentre tutto attorno diventa sempre più livido e piange e talvolta grida, anche e soprattutto fuori delle finestre (per chi ne ha più o meno d’una). Qui, si sta parlando di performatività di linguaggio, e il problema sta proprio quando il linguaggio diviene sempre più l’altra faccia del denaro. Divenire rendita del profitto, per dirla con Carlo Vercellone.
Ma andiamo con ordine. Prendiamo il primo livello etimologico del termine didattica, didakticos (διδακτική) = lasciare un segno, mostrare ecc., condizione possibile in un ambiente di apprendimento sinestetico (vista, udito, olfatto, tatto, in aula). Siamo in un rapporto per natura biunivoco, anzi, polivoco, sempre immanente. Didattica come deuteroapprendimento, direbbe Gregory Bateson, ovvero «imparare ad imparare». Nello scenario emergenziale attuale, viceversa, didakticos, pare indurirsi nel secondo livello etimologico, ovvero nel senso di: istruire, far eseguire una qualche funzione, in attesa (non importa quanto breve) di uno scambio differito, condizione questa consustanziale alla macchina telematica. E veniamo dunque alla didattica a distanza.
Nel protocollo n.388 del 17 marzo il Ministero dell’Istruzione liscia il pelo alle qualità etico-professionali della comunità educante, al suo compito sociale e formativo, perché ha proprio bisogno di ricordarlo: è necessario combattere il rischio di isolamento e demotivazione dei discenti. In realtà, facendo leva sul diritto all’istruzione (chapeau!), normativizza la modalità telematica […]. La distanza data dall’isolamento deve in qualche modo essere colmata da pratiche di apprendimento, […] cogliendo l’occasione del tempo a disposizione e delle diverse opportunità soprattutto se guidati dagli insegnanti. In sintesi: il lavoro di cura delle anime si distribuisce su un tempo dilatato tele-guidato. È bene dirlo chiaramente: dentro questo quadro normativo, puntellato di note ministeriali, si liberano più flussi di interesse.
Nella sua illusione ottica di prossimità, la distanza (distanziamento) dei corpi nella coppia docenti-alunni, apre una prateria ai medium, la cui gratuità, ove mai fosse illimitata, è garanzia di prelievo biopolitico degli affetti, ecc. Poco importa qui ricordare quali siano le società di servizi, i colossi informatici; la mission è vendere, scambiare dati, per meglio affinare la profilazione della platea di futuri consumatori/governati. Dentro la cornice epidemica, l’istruzione scolastica, nella forma della cura formativa a distanza, diviene produzione deterritorializzata di pre-(i)scrizioni (accountability to learn) di linguaggio (matematico-scientifico, scritto-orale, artistico, motorio), messi a valore dalle piattaforme, che ne costituiscono la condizione di possibilità. «La macchina si adatta alla debolezza dell’uomo, per fare dell’uomo debole una macchina» (Marx, Grundrisse). L’epidemia ha unicamente creato le condizioni favorevoli (dentro una tendenza governamentale europea ventennale), perché si potesse catturare la dismisura (leggi eccedenza) della vita (lavoro vivo nella triade docenti-alunni-genitori), distendendola sull’intera produzione e riproduzione sociale privatizzata (lavoro morto del capitale). La pratica del cosiddetto lavoro agile (o smart working) disciplinato dal DPCM dell’11 marzo 2020, ne rappresenta il quadro normativo.
Pubblicato il: 06.04.2020
Articoli, approfondimenti, notizie ed eventi di Accademia Unidee della Fondazione Pistoletto a cura di Marco Liberatore del Gruppo Ippolita