Linguaggio, genere, universalizzazione – Brigitte Vasallo

Non solo non esiste un linguaggio di genere perfetto che possa rappresentare tutt*: è che non può esistere, e non desideriamo che esista

di: Brigitte Vasallo

Pubblichiamo un estratto dal libro Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe di Brigitte Vasallo, traduzione di Giusi Palomba, pubblicato da Tamu edizioni.
Docente, giornalista e mediatrice culturale e attivista, in questo testo Brigitte Vasallo dà spazio a una riflessione accurata, e per niente scontata, sull’inclusione sociale a sul linguaggio, quali vettori di trasformazione, in rapporto al potere e ai privilegi di classe e genere. Sullo sfondo si agita la domanda, posta anni addietro dalla filosofa femminista postcoloniale Gayatri C. Spivak, su quale sia la presa di parola nello spazio pubblico di chi vive nella subalternità.
Ringraziamo la casa editrice per la possibilità concessa.

 

 

 

 

– E nel 1969 l’uomo sbarcò sulla Luna.
– Eh, eh! Non tutti gli uomini!
Enzo Vizcaíno

 

Nella questione del maschile universale o, più esplicitamente, nella battaglia per spodestare il maschile universale, ci sono due linee da tenere in conto. Una è il maschile, la rappresentazione del maschile come neutro, quando ci dicono che siccome è neutro può rappresentare tutti i generi. Ma questo alimenta l’idea della maschilità come obiettiva, naturale, effettivamente neutra, e che tutto il resto sia connotato, artificiale e prodotto.

È un’arma a doppio taglio, perché il maschile come neutro costruisce anche la neutralità come maschile e la femminilità come connotata. Vale a dire: il maschile come neutro tinge anche il neutro di maschilità.

Nel sistema binario sesso-genere, il sistema disciplinante e coloniale in cui si muove purtroppo la maggioranza di noi, che ci conformiamo o meno, esistono soltanto due forme: il maschile e il femminile. Non è che il maschile e il femminile abbiano caratteristiche specifiche, ma tutte le caratteristiche possibili vengono inquadrate nel binomio maschile-femminile. E qualsiasi altra possibilità – mescolare elementi, sovvertirli, capovolgerli, negarli – viene offuscata da questa inquadratura: questi due poli sono il punto di ancoraggio, magari non a livello personale, ma sistemico.

Per questo il sistema è un sistema e non una pratica, non un’opzione. E per questo è binario.

Céline Dion, la cantante, ha un marchio di abbigliamento infantile chiamato Celinununu. Dion lo pubblicizza come se si trattasse di attivismo: cambiare il mondo attraverso costosissimi abiti di genere neutro.

Ma non si tratta di abbigliamento neutro. È abbigliamento tradizionalmente maschile: colori neutri nella gamma dei grigi, felpe, tute da ginnastica e molti pantaloni. Le persone che fanno da modello hanno un solo segno che potrebbe rimandare a un genere: l’acconciatura.

Non do per scontato il genere di nessuno a partire dall’acconciatura, ma curiosamente tutti i capi sono indossati indistintamente da persone coi capelli corti e con chignon o code di cavallo, eccetto la sezione dei vestiti, dove non c’è nessuno coi capelli corti. Questa stessa dinamica si riproduce costantemente nelle collezioni di abbigliamento di genere neutro: spariscono le gonne, i tulle, i colori brillanti, e tutto finisce per essere maschile. Ovvero neutro.

L’altra questione riguardante il maschile universale che ci sfugge più spesso è quella della possibilità dell’universale. Non si tratta solo del fatto di attribuire neutralità al maschile, in gioco c’è anche l’idea che esista un’unica forma che possa rappresentare chiunque, che esista davvero un universale, e che dunque vada ricercato.

Ma la disputa per trovare una forma che ci rappresenti tutte (che finisca per -a, per -e, per -i, per -x, per -@, il raddoppio delle uscite o qualsiasi altra forma) è dannosa, poiché continua a insistere sull’idea della rappresentazione universale e continua a confondere l’enunciazione con l’enumerazione, il catalogo.

Non solo non esiste un linguaggio di genere perfetto che possa rappresentare tutt*: è che non può esistere, e non desideriamo che esista. Questa angosciosa ricerca della soluzione che risolva il conflitto viene influenzata dal segno dei tempi e dalle nuove utopie (capitaliste) del futuro. Così lo sottolinea Marina Garcés:

Come definito, tra gli altri, da Evgenij Morozov, il soluzionismo è l’ideologia che legittima e sanziona l’aspirazione ad affrontare qualsiasi situazione sociale complessa a partire da problemi di formulazione chiara e soluzioni definitive. Nato nell’ambito dell’urbanesimo e sviluppato ideologicamente nella Silicon Valley, il termine soluzionismo ha la sua propria utopia: quella di trasportare l’umanità in un mondo senza problemi.

Quello che facciamo quando parliamo al femminile, al neutro, duplicando o utilizzando qualsiasi altra formula, non è risolvere, ma mostrare il disagio, de-naturalizzare, fare rumore, incoraggiare un movimento e intervenire su di esso.

Una metafora che ci colloca ancora una volta nella dimensione allegorica del linguaggio. E che ci restituisce il potere sulla nostra lingua attraverso la tensione dei suoi usi illegali. Quando parliamo con la -a, come quando parliamo con la -u, siamo le operaie del linguaggio che assaltano la fabbrica del padrone per collettivizzarla.

Tuttavia, sia chiaro, se una di queste opzioni sta sognando di sostituire il padrone, non ha senso nemmeno intraprendere la lotta. Perché il sistema non è una forma, ma un metodo. Il sistema non è la -o, come non è il maschile: il sistema è l’universalizzazione.

Così, qualsiasi scommessa per decretare il linguaggio di genere perfetto, quello che includerà chiunque grazie a una lettera, riproporrà tutte le questioni che cerca di rifuggire.

E, naturalmente, qualsiasi confronto tra opzioni dissidenti per vedere chi ha ragione è un’assurdità. Gli interventi sul linguaggio non sono in opposizione tra loro. Non lo saranno almeno finché esisterà un maschile universale e tutto il resto si situerà nella zona dell’estraneità.

Tra l’altro, la ricerca di un’altra formula universale nasconde ulteriori trappole. Nel 2018 Pablo Iglesias, Ramón Espinar e Íñigo Errejón apparvero in una conferenza stampa con uno striscione che recitava « Nosotras », con caratteri in viola femminista.

La logica della formula generica tende esattamente a questo: a trovare un modo per rappresentare lo stesso gruppo di uomini di sempre come il nuovo universale. Questa è la trappola.

Allo stesso tempo, chiarisco, siamo ben lontani dal dire che il femminile sia diventato il nuovo universale e, al momento, questo nosotras che rappresenta « loro», gli uomini, ha generato una tensione con il patto linguistico, che rende il genere estremamente suggestivo in questa immagine. Tradurre questa tensione che sentiamo nella realtà è una delle funzioni dell’intervento sul linguaggio.