Fare mondi e autonomia – Ian Cheng

Un Mondo è un costrutto. Un Mondo è una cosa viva. Un Mondo è caratterizzato da confini artificiali che fanno da filtro alle scioccanti sorprese della Realtà e alla complessità che se ne genera

di: Ian Cheng

Cos’è un Mondo? Coa significa crearne uno o più? Il Worlding è l’arte di creare dei mondi possibili, un processo il cui fine non è la singola Opera –un quadro, un film, un videogame, un oggetto – bensì un “qualcosa” in grado di animarsi, perpetuare i propri meccanismi e sopravvivere. Un Mondo è un futuro in cui è possibile credere, e il worlding è l’arte di creare quei futuri, un processo il cui fine non è la singola Opera – il romanzo, il film, il videogame – bensì un congegno in grado di animarsi, perpetuare i propri meccanismi e,
infine, compiere il prodigio di sopravvivere al suo creatore: un universo che dall’inerzia della carta (o dello schermo) diventa materia vivente, instillando nei fruitori il desiderio di continuare ad abitarlo e contribuire alla sua espansione.
Il libro di Ian Cheng è un viaggio introspettivo che indaga la psiche dell’artista e le complesse dinamiche del processo creativo. Partendo dalla sua esperienza fra game design e arte contemporanea, traccia un percorso storico e speculativo che ci svela in cosa consiste abitare un Mondo: un’incessante rinegoziazione della nostra agency nella spaventosa, entusiasmante, incertezza delle nostre vite.
Ian Cheng è programmatore e game designer. La sua ricerca è caratterizzata dalla realizzazione di simulazioni virtuali che hanno la caratteristica di evolversi incessantemente. Le sue opere sono state esposte nelle gallerie di tutto il mondo, tra cui moma di New York, il Fine Art Museum di San Francisco, la Serpentine Gallery di Londra, e la Biennale di Venezia. Fare mondi, il libro da cui è estratto il presente brano, è la sua opera non narrativa più importante. La versione in italiano è tradotta da Assunta Martinese e pubblicata da Timedo Edizioni che qui ringraziamo.

 

Breve storia dei mondi

James Carse, studioso delle religioni, sostiene che ci sono due tipi di giochi: i giochi finiti e i giochi infiniti. In un gioco finito si gioca per vincere. Ci sono regole chiare e un finale definito. In un gioco infinito si gioca per continuare a giocare.

Se c’è il rischio che finisca, le regole devono essere modificate affinché il gioco prosegua. Secondo Carse il gioco infinito per eccellenza è proprio la vita evoluzionistica: la Natura. La vita di noi esseri umani è piena di giochi finiti che ci sono familiari: Scadenze. Transazioni. Graduatorie. Appuntamenti. Elezioni. Sport. Università. Guerre. Partite a poker. Lotterie. La cosa anomala è che quando i nostri giochi finiti si concludono, quando emerge un vincitore, uscendo dal gioco non torniamo alla Realtà di base. Ci risvegliamo invece in un campo di giochi infiniti che mediano ininterrottamente il nostro contatto con la Realtà di base. Scegliamo di vivere immersi in questi giochi infiniti perché possiamo trarne potere, regole e significato mentre siamo immersi una Realtà di base che è indifferente al nostro benessere fisico e psicologico.

Abbiamo molti nomi per questi giochi infiniti: Famiglie. Istituzioni. Religioni. Nazioni. Sottoculture. Culture. Realtà Sociali. Chiamiamoli pure Mondi.
Un Mondo è un costrutto. Le sue dimensioni sono irrisorie se paragonate al vero gioco infinito che è la Natura, ma conserva le caratteristiche di un gioco infinito abbastanza a lungo – e in modo abbastanza interessante – perché gli esseri umani gli conferiscano lo status di cosa viva e lo trattino di conseguenza, e questo lo rende sufficientemente infinito. Un Mondo è una cosa viva – artificiale, ma pur sempre viva.

Continua a esistere, assimila il cambiamento e attrae giocatori che contribuiscono a perpetuarlo. Un Mondo è caratterizzato da confini artificiali che fanno da filtro alle scioccanti sorprese della Realtà e alla complessità generata da queste continue sorprese. Allo stesso tempo, un Mondo è a sua volta abbastanza complesso da renderci possibile abitarlo in modo generativo e creare nuovi significati utilizzando il suo linguaggio interno. Un Mondo ci chiede di credere nelle sue invenzioni e contraddizioni e di essere «al sicuro» dal nostro scetticismo. In cambio il Mondo oppone resistenza e risponde ai colpi della Realtà, ci arma di una prospettiva, ci fornisce un significato e ci conferisce un certo grado di potere per affrontare in modo creativo tutte le sorprese che la Realtà ci riserva. Un Mondo ci offre, per usare le parole di Ursula K. Le Guin, «spazio a sufficienza» per sopravvivere, prosperare e immaginare futuri possibili, a tempo indefinito.

Fino a epoche recentissime i Mondi erano il risultato di lunghi periodi di evoluzione. Pensate a una nazione o a una religione. È possibile che un singolo individuo abbia formulato un’idea o compiuto un’azione che ha innescato la nascita di un Mondo, ma non esiste una persona che sia stata autrice di un Mondo. I Mondi emergevano grazie a processi iterativi che si sviluppavano nel corso di molte generazioni. I personaggi che li abitavano nascevano in risposta alla necessità dei Mondi di allargarsi per far posto alle nuove sorprese della Realtà.

Il benessere di un Mondo era preservato dai giocatori dotati di sufficiente potere, prestigio e riconoscimento tribale. Il Mondo doveva guadagnarsi senza sosta lo status di gioco infinito, continuando a restare in vita grazie a tutte le persone che credevano nel suo significato, vivevano secondo le sue leggi e traevano beneficio della sua struttura stabilizzante.

Ma cosa possiamo dire invece dei Mondi di finzione? È ormai parecchio tempo che gli scrittori di romanzi costruiscono Mondi. Tuttavia un’opera narrativa, presa singolarmente, non è che la scintilla di un Mondo a venire, il suo DNA, e in assenza dell’autore originario queste strutture sono a rischio di collasso. Per trasformare un’opera di finzione in un Mondo c’è bisogno di un generatore di movimento in grado di creare complessità – e quindi sorprese – senza la supervisione dell’autore originario. In passato erano due motori principali ad alimentare i Mondi religiosi: il motore del prestigio e quello dello status. In epoche più recenti il motore del commercio ha alimentato Mondi di fantasia, creati artificialmente estendendo la narrazione ad altri media: i romanzi diventano film, videogiochi, giocattoli, spinoff, parchi a tema; diventano la mega-economia del franchise. Questa è stata l’innovazione dei Creatori di mondi del XX secolo come Walt Disney, George Lucas, Steve Jobs.

Sarebbe possibile per noi creare autonomamente un Mondo? I guardiani dei vecchi Mondi vi direbbero senza dubbio che è impossibile che un Mondo venga creato da una singola persona in un arco di tempo meno esteso di una vita umana.

I Mondi sono il prodotto di un processo evolutivo. I Mondi necessitano di un passato abbastanza complesso da creare l’illusione di essere stato abitato da altri giocatori. Le persone non si accontentano della scintilla di un Mondo, si aspettano di scoprire un Mondo pienamente formato, di abitare le sue complessità, di credere nelle sue potenzialità e di continuare a generare significato al suo interno. Se davvero desiderate creare un Mondo, l’operazione vi costerà miliardi e una vita di lavoro spesa a incentivare altri esseri umani a occupare il vostro Mondo. Come può una singola mente concepire un gioco infinito, innescarne il moto perpetuo e creare una pratica di Worlding che sia ripetibile?

Per nostra fortuna viviamo in una bizzarra epoca di transizione. I Mondi si espandono più in fretta di quanto possiamo sopportare. I vecchi Mondi si biforcano in giovani Mondi allo scopo di far proseguire il gioco. I confini dei Mondi si rompono e si ricostituiscono. Stiamo sviluppando non solo una più alta tolleranza al disorientamento causato dall’allargamento dei Mondi, ma anche un desiderio sempre più intenso di esperire un’immensa gamma di Mondi. Vogliamo la sovrabbondanza: la proliferazione di Mondi ci dà l’opportunità di riflettere consapevolmente sull’artificialità dei Mondi e apprezzare il fatto che ci permettono di rapportarci in modo creativo alla realtà. Per la prima volta ci sembra di avere un effettivo potere decisionale quando, nel catalogo di giochi infiniti, scegliamo quello a cui giocare o da cui uscire. Un cambiamento ancora più profondo deriva dalle inedite possibilità aperte dalle simulazioni e dalle intelligenze artificiali (AI), che hanno creato player non-umani a cui possiamo delegare in parte il compito mandare avanti la narrazione, e dunque per restare in vita i Mondi non devono più affidarsi esclusivamente alla partecipazione umana, e non sono più costretti a incentivare tale partecipazione con il ritorno economico o l’appagamento religioso. Si ha l’impressione che il Worlding – la creazione di un Mondo – potrebbe quasi essere un’impresa alla portata di un singolo artista.

L’equazione della vitalità

Cos’è il Worlding? Il Worlding è l’attività creativa di un singolo artista intento a concepire, incubare, innescare e coltivare un Mondo al fine di portarlo in vita.
Possiamo considerare il processo di Worlding come una scala graduata che misura la Vitalità. Come un neonato, prima di nascere un Mondo viene incubato dalle cure del suo creatore: non è ancora vivo, non è ancora in grado di autoregolarsi, non è ancora in grado di generare autonomamente svolte narrative. Quando un Mondo nasce, tecnicamente è vivo, ma è ancora fragile. Il creatore esulta, ma indirizza con estrema cautela ogni movimento del Mondo. Quando un Mondo inizia a generare da sé le proprie svolte narrative, con immensa gioia del creatore, è inequivocabilmente vivo e attrae nuovi membri che credono nel suo futuro e desiderano portare avanti la sua espressione. E quando un Mondo è così vivo che perfino per il creatore è impossibile prevederne il futuro, può fare due cose: raggiungere il suo culmine, oppure guadagnarsi l’Autonomia.

L’asse della Vitalità spazia da un pigro Mondo scarabocchiato sul margine di un quaderno all’immensa macrosimulazione che è la Natura stessa. Questo asse comprende anche i Mondi che non riescono a raggiungere lo status di giochi infiniti, che non riescono a generare svolte narrative e quindi non sopravvivono al loro creatore. I romanzi che non diventano mai una saga multimediale. Le aziende che nascono e muoiono insieme al fondatore. I giochi MMO ridotti a un campo di allenamento per i bot. Le pseudoreligioni la cui chiesa è un forum online con cinque membri. Finché resta un futuro in cui qualcuno crede, un Mondo mantiene, seppure a stento, lo status di cosa viva. A questo punto dobbiamo prendere posizione e formulare un principio morale esplicito riguardo ai Mondi: è meglio un Mondo vivo che un Mondo morto, è meglio un Mondo che continua a lottare per diventare un gioco infinito, è meglio un Mondo autonomo di un Mondo che ha raggiunto il suo culmine. In altre parole, dobbiamo aspirare a creare Mondi che massimizzino la Vitalità.
Quella che segue è una formula per stabilire in che punto si colloca il Mondo sull’asse della Vitalità.

Vitalità = Indizi di fruizione / Morsa del Creatore

Gli «Indizi di fruizione» misurano quanto vengono utilizzate complessivamente le espressioni visibili di un Mondo. Per Star Wars, gli indizi di fruizione comprendono tutto l’insieme di film che vengono guardati, i giochi che vengono utilizzati, le trasposizioni letterarie che vengono lette, le convention a cui qualcuno partecipa, le biforcazioni delle innovazioni tecniche dei VFX, le discussioni sui forum online, le immagini che circolano nella mente delle persone, e l’influenza esercitata sui Mondi di altri creatori. Se parliamo di un blog personale, gli indizi di fruizione sono l’aggiornamento e il miglioramento del blog da parte del suo autore, l’influenza sui pensieri dei lettori, il ranking e lo scraping di contenuti da parte dei bot.

Gli indizi di fruizione danno un’idea approssimata di quante persone nutrono in un Mondo un grado di fiducia sufficiente a perpetuarne l’espressione. Quando tutti smettono di utilizzare l’espressione di un Mondo, la quantità di indizi di fruizione precipita a zero. È possibile che esista, da qualche parte, una testimonianza di un antico culto che potrebbe trascendere lo spaziotempo, ma è andato perduto oppure nessuno ci crede più, e di conseguenza il grado di Vitalità di quel Mondo è zero. Se anche la quantità di indizi di fruizione rimane invariata, senza crescere, finché non è zero vuol dire che un Mondo è vivo, che sia per mille persone o per una sola.

La «Morsa del Creatore» è il grado di controllo autoritario detenuto dal creatore di un Mondo sulla produzione di indizi di fruizione. Più forte è la «Morsa del Creatore», meno viene permesso al Mondo di generare indizi di fruizione grazie ai suoi membri. Pensate a Hayao Miyazaki e alla strettissima Morsa da lui esercitata sia sui vari Mondi dei suoi singoli film sia sul Mondo di Studio Ghibli. Quando Miyazaki ha annunciato il suo ritiro, ai nuovi registi presi in considerazione per le future produzioni di Studio Ghibli era richiesto di dimostrarsi in grado di lavorare a immagine e somiglianza di Miyazaki, e quando Miyazaki esaminava i loro lavori li trovava inferiori. La produzione allo Studio Ghibli si è fermata. Al contrario, una Morsa del Creatore debole significa che il Mondo e i suoi membri hanno maggiore libertà di generare autonomamente indizi di fruizione e perpetuare le narrazione anche in assenza del creatore. Nel Mondo della Natura la Morsa del Creatore è sostanzialmente zero. Nessuno deve chiedere il permesso a un Dio universale o al Signor Big Bang o a un simulatore sovradimensionale per generare nuovi e interessanti indizi di fruizione all’interno del dominio della Natura, il che la rende un Mondo molto speciale in cui continuare a creare.

Quando la Morsa del Creatore si avvicina a 1 – che corrisponde al massimo grado di controllo – possibile che la Vitalità resti comunque superiore a 0, a patto che il Creatore continui a creare indizi di fruizione. Tuttavia, in uno scenario simile, nel momento stesso in cui il creatore esce dal Mondo (o muore) ci si accorge che il Mondo abbandonato e tutti quelli che lo abitano dipendevano dal permesso e dalla guida del creatore al punto da rendere impossibile creare autonomamente nuovi indizi di fruizione. È possibile che qualche indizio di fruizione persista, ma spesso diminuisce la fiducia necessaria a continuare a dare espressione al Mondo, e l’utilizzo effettivo si riduce a una manciata di fanatici o oltranzisti.

Può addirittura capitare che la Morsa del Creatore aumenti alla sua morte, perché i fedelissimi impediscono agli altri membri di aggiornare il Mondo fabbricando nuovi indizi di fruizione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, se la Morsa del Creatore è forte, quando il Creatore esce la Vitalità del Mondo precipita a zero. Ciò capita spesso nelle piccole aziende in cui il proprietario – cuore e anima e tiranno – muore, e il Mondo entra in una fase di decadimento, talvolta portando con sé le vite degli impiegati e dei clienti che lo abitavano.
Quando la Morsa del Creatore si approssima allo zero – ossia un annullamento totale del controllo del creatore – e gli indizi di fruizione continuano a essere creati, siamo in presenza di un Mondo che ha il potenziale della Vitalità infinita.
È un Mondo che ha acquisito Autonomia. Pensate al momento in cui un bambino è cresciuto, lascia la casa dei genitori, si libera del loro controllo e può finalmente scegliere che direzione imprimere alla sua vita.

Fare mondi significa imparare a conoscere l’autonomia

Il primo passo nel Worlding è l’atto di creare una vita, il secondo è lasciarle la libertà di viversi. La prima parte è la conquista della Vitalità. La seconda parte è la concessione dell’Autonomia.
Possiamo apprezzare l’Autonomia delle nostre creazioni solo se comprendiamo e apprezziamo l’Autonomia dentro di noi. Come sostiene lo psicologo Eric Berne:

Ogni persona, inoltre, possiede uno schema di vita preconscio, o copione, per mezzo del quale struttura periodi di tempo più lunghi — mesi, anni, o tutta la vita — riempiendoli con attività rituali, con passatempi e giochi che portano avanti il copione e nello stesso tempo danno una soddisfazione immediata […]. I copioni si basano generalmente su illusioni infantili che possono durare un’intera vita; nelle persone più sensibili, percettive e intelligenti però queste illusioni si dissolvono a una a una conducendo alle varie crisi esistenziali descritte da Erikson. Fra queste crisi ci sono le rivolte degli adolescenti contro i genitori, le proteste, spesso bizzarre, della mezza età, e dopo di ciò l’insorgere di una certa filosofia. Talvolta, però, tentativi chiaramente disperati di mantenere le illusioni troppo a lungo conducono alla depressione o allo spiritualismo, mentre al contrario l’abbandono di tutte le illusioni può portare alla disperazione.

Berne osserva che l’Autonomia è la condizione che si conquista quando si inizia a vedere il copione come una scelta piuttosto che come un destino. Da quel momento in poi, qualsiasi cosa si decida di fare sarà un atto di volontà. Anche dopo aver preso coscienza del fatto che il copione esercita un controllo su di noi, smantellarlo risulta comunque difficilissimo, e questo perché l’idea di pianificare il tempo è causa di un terrore paralizzante. Se il copione della mia vita è una mia scelta, posso scegliere di proseguire con quel copione, oppure posso scegliere l’Autonomia. Se scelgo l’Autonomia non ho più alcun dovere di fare qualcosa in particolare nella vita. Ho esclusivamente tempo non pianificato per tutto il tempo che mi resta! Qual è la ragione per continuare a vivere? Devo inventarmela? Chi c’è al comando? Cosa ne faccio di me? Dove trovo la motivazione per dedicarmi a qualcosa quando tutto è possibile ma niente è necessario?

Per evitare l’Autonomia a volte basta non fare nulla. Ogni giorno la vita genera piccoli ostacoli e banali svolte narrative utili a procrastinare l’incombenza di occuparsi dell’Autonomia. Piccole vittorie limitate che ci fanno arrivare a fine giornata. Tuttavia in questo modo accresciamo il nostro debito: l’infelicità e il rimpianto esistenziale alla fine verranno a chiedere il conto, fosse anche in punto di morte. Se solo esistesse una cultura in grado di darci la possibilità di allenarci a sperimentare fin dalle prime fasi della vita quella strana condizione che è l’Autonomia!
Ecco la prospettiva di Steve Jobs sul tema dell’Autonomia:

Di solito quando cresci ti dicono che il mondo è quello che è, e la vita consiste nel vivere all’interno del mondo. Cercare di non accanirsi troppo su cose impossibili, cercare di farsi una famiglia felice, di divertirsi, di mettere da parte un po’ di soldi. Si tratta di una vita molto limitata. La vita può essere molto più grande non appena scopri un fatto molto semplice, ossia: tutto ciò che ti circonda e che tu chiami vita è stato costruito da persone che non erano più intelligenti di te. E tu puoi cambiarla, puoi influenzarla, puoi costruire delle cose che gli altri potranno usare. Questa è la cosa più importante: scrollati di dosso questa nozione errata che la vita è lì e tu devi viverci dentro. Al contrario abbracciala, cambiala, migliorala. Perché sotto moltissimi aspetti è abbastanza sbagliata. Non appena lo capisci, non sarai più lo stesso.

Per la maggior parte delle persone è più facile a dirsi che a farsi. Ma il modo migliore per iniziare a capire come fare emergere l’Autonomia dentro di noi è allenarsi all’interno di simulazioni che mettono in scena la vita in scala ridotta. Il Worlding è un laboratorio in cui continuare a perseguire l’Autonomia, riuscendoci a forza di fallimenti. Costruiremo molti Mondi fallimentari. Costruiremo Mondi, e molti Mondi falliranno, ma ciò che proveremo e ciò che trarremo da questa esperienza è quanto la pratica artistica del Worlding offre come ricompensa.

Nel Worlding il creatore diventa il genitore di un Mondo. Creando, accudendo e coltivando una cosa viva proverete la gioia di aver generato una zona di significato, scopo e potenzialità dove prima non ne esistevano. E poi, imparando a concedere indipendenza a quella creatura, lasciarla vivere senza la vostra guida, inizierete a capire che la Morsa del Creatore diventa un ostacolo all’Autonomia. La pratica del Worlding è un’attività che coinvolge l’intero cervello. Potrebbe sembrare uno standard troppo oneroso se utilizzato per strutturare il tempo di un essere umano: secondo qualsiasi criterio, ciò che costituisce un Mondo sembra eccedere la capacità di un singolo essere umano di concepire e creare dal nulla una cosa tanto complessa. E poi la fatica di occuparsene, aggiornarlo e lasciarlo andare. È già abbastanza difficile scrivere una bella canzone o inventare un nuovo piatto. È già abbastanza difficile creare opere d’arte. Come fa un artista a creare un intero Mondo senza perdere mai la motivazione?

La risposta è la seguente: fare arte diventa esponenzialmente più facile se si è convinti di stare, al contempo, creando un Mondo. La ricompensa che otteniamo quando creiamo un Mondo consiste nel fatto che gli inevitabili alti e bassi del lungo processo artistico acquistano uno scopo. È un atto di creazione guidato da una vocazione. Un futuro in cui si può credere. Un futuro che abbiamo immaginato noi. Ma prima di capire come sia possibile, dobbiamo analizzare la psicologia dell’artista – la fonte dell’invenzione, ma anche la radice di dubbi paralizzanti e autosabotaggi. creare un intero Mondo senza perdere mai la motivazione?