di: François Laplantine e Alexis Nouss
La storia del Mediterraneo, questo crogiolo culturale che sarebbe stato la culla dell’Europa, è la storia di parecchi millenni di migrazioni, sotto forma di invasioni, conquiste, scontri, persecuzioni, massacri, saccheggi e deportazioni, ma anche di scambi, confronti, trasformazioni reciproche di popoli, persino durante i conflitti.
Questo «mare circondato da terre», questo Mare Magnum come lo chiamavano i Romani, questo al-bahr al-mutawassit (letteralmente, «la superficie d’acqua che si trova nel mezzo») secondo gli Arabi, che per lungo tempo è raffigurato al centro di tutte le carte del mondo, ha una grande forza di attrazione. Vi affluiscono popoli venuti dalla foresta, dalla steppa e dal deserto, che si confronteranno con dominazioni successive a partire dalla costituzione di imperi. Proprio su uno di questi imperi concentreremo la nostra attenzione: quello di Alessandro Magno, che secondo l’opinione di Voltaire «cambiò l’aspetto dell’Asia, della Grecia e dell’Egitto e diede al mondo un orientamento nuovo».
Alessandro aveva una visione universalista, quanto meno della propria impresa, se non dell’umanità intera. Riteneva che, indipendentemente dall’appartenenza etnica, popoli molto diversi potessero fondersi nella medesima unità: innanzi tutto Greci e Persiani, ma anche Siriani ed Egizi, fino alle popolazioni dell’India, poiché la Magna Grecia, dopo esser nata nel Mediterraneo, avrebbe dovuto estendersi fino all’Asia. Plutarco ci dice che Alessandro «ha riunito tutti i popoli del mondo come in un cratere».
In questa ellenizzazione dell’Oriente e orientalizzazione dell’Occidente le diverse componenti venivano incitate ad apprendere le diverse lingue parlate nell’impero. Lo stesso Alessandro era ben intenzionato a dare il buon esempio. Adottava interi tratti di culture non elleniche, come il diritto penale e il cerimoniale di corte, parlava in persiano e si vestiva come i Persiani. Infine, cosa più importante, contava molto sulla celebrazione di matrimoni collettivi affinché i differenti popoli dell’impero si fondessero in una medesima unità sovranazionale.
Stando a quanto riferiscono gli storici dell’epoca, senza dubbio esagerando, diecimila soldati greci sposarono contemporaneamente diecimila donne asiatiche. Certo, il risultato di questi accoppiamenti forzati non era scontato. Molte di queste coppie si separarono dopo la morte di Alessandro. E il sogno di una società universalista a partire da un modello statalista non si realizzò. Disgraziatamente nel corso della storia ci sono stati altri esempi.
Sebbene la nozione di meticciato all’epoca non fosse formulata in maniera esplicita, nell’antichità mediterranea si possono reperire, al di là del progetto politico e culturale di Alessandro appena ricordato, elementi che ci consentono l’elaborazione di un pensiero meticcio. Citiamo in particolare gli stoici, che preconizzavano valori come l’individualità e la razionalità, più importanti ai loro occhi degli interessi regionali e in particolare dell’appartenenza a una sola città (polis) di origine. Nella loro concezione della società, secondo cui la polis avrebbe dovuto diventare una cosmopolis, il concetto di straniero diventava superfluo.
È vero d’altra parte che la realtà della storia mediterranea è stata costruita non tanto a partire da questo ideale quanto muovendo da logiche di conquista (araba, turca, romana, cristiana). Tuttavia queste ultime non hanno mai proceduto a una pura e semplice distruzione di quello che c’era prima. Gli stessi popoli conquistatori sono diventati progressivamente eredi dei popoli conquistati. Il crogiolo mediterraneo, in cui si sono formate le tre grandi religioni monoteiste, è stato il luogo dell’incontro continuo fra Oriente e Occidente, dell’intrico stretto fra le culture più disparate.
Il meticciato implica la mobilità, il viaggio, e a tal proposito il più celebre eroe mediterraneo è Ulisse, costruzione archetipa greca, ma anche archetipo universale di tutti i viaggiatori, mentre l’anti-meticciato deriva dalla sedentarietà, o per meglio dire dalla sedentarizzazione e dalla stabilizzazione. Ci si può tuttavia domandare se la figura biblica di Abramo non sia ancora più rappresentativa, considerando che quest’ultimo non ritorna al proprio luogo di partenza.
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In questo movimento che darà luogo alla più grande miscela che l’umanità abbia mai conosciuto fino alla scoperta delle Americhe è opportuno insistere sul ruolo decisivo della città e del mare stesso. Innanzi tutto la città. È in particolare nei mercati e nelle piazze pubbliche, luoghi di scambio per eccellenza, luoghi dell’accettazione o del rifiuto, che i popoli si sfiorano, si incontrano, si mescolano. Il meticciato è principalmente urbano e le grandi città mediterranee hanno esercitato ognuna a modo suo un ruolo di mediazione fra orizzonti culturali estremamente diversificati. Basta pronunciarne i nomi. Esse possiedono una potenza evocativa cosmopolita assolutamente incomparabile: Bisanzio, Cartagine, Cordova, Beirut, Gerusalemme, Siviglia, Kairouan, Genova, Venezia, Malaga, Damasco, Il Cairo, Smirne, Salonicco, Nicosia, Granada, Palermo, Alicante, Aleppo, Alessandria… Bisanzio, lungo un intero millennio nel quale la componente greca della città è sempre rimasta preponderante, costituisce un ponte fra Oriente e Occidente. In epoca tardo-bizantina (dal xii al xiv secolo) esistono diverse forme di meticciato, soprattutto il meticciato greco-latino, che non separa ma anzi compone e declina le due culture. La città, una volta diventata Costantinopoli, cambia i suoi prodotti, le sue ricette, le sue idee. Infine è Istanbul. All’epoca di Solimano il Magnifico è una città turca, ma è anche greca, come è armena, e ancora ebrea. E che dire di Alessandria? Si trova in Egitto e quindi è certamente egiziana, ma tra la seconda metà del xix secolo e la spedizione di Suez è altrettanto greca, ebrea, armena, italiana. È questa polifonia che ispirerà a Lawrence Durrell il suo Quartetto d’Alessandria.
Il meticciato è dunque un’invenzione nata dal viaggio e dall’incontro. Ma non è sufficiente che le culture si spostino, si incontrino o anche solo si frequentino perché questa trasformazione abbia luogo. Spesso la molteplicità delle popolazioni riunite in una stessa città non crea nulla di simile. Il processo del meticciato comincia nel momento in cui la nazionalità non è più sufficiente per definire l’identità, mentre l’appartenenza stessa a queste città-mondo (cosmopolis) è molto più utile.
In seguito è lo stesso mare Mediterraneo a costituire lo spazio di questi incroci, di questi movimenti di va-e-vieni, di questi flussi e riflussi. È grazie al Mediterraneo che possono verificarsi gli scambi mercantili (ad esempio il commercio dell’oro portato dal Sudan o della seta proveniente dalla Cina), gli scambi militari e religiosi (le conquiste e i pellegrinaggi), quelli artistici e scientifici (il prestigio di quei centri intellettuali che sono Baghdad, Damasco, Fez, Bologna, Padova, Montpellier, la Sorbona deriva dal fatto che entrano in relazione reciproca, animati da uno degli ingredienti necessari per il meticciato: la curiosità per gli altri). La Grecia, ad esempio, raccoglie un lascito orientale, lo trasmette all’Italia e al mondo arabo, quest’ultimo lo trasporta in Spagna e in Provenza, e così via.
I diversi popoli apportano e apprendono. Ad esempio, apportano gli animali che utilizzano per i trasporti (il cavallo per i Greci, il dromedario per gli Arabi, il cammello per i Turchi) e apprendono tecniche che in seguito diffonderanno (la coltura del grano, ma soprattutto della vigna e dell’olivo, due dei prodotti caratteristici delle società mediterranee). Dopo qualche generazione, dimentichiamo l’origine di ciò che abbiamo acquisito a tal punto esso è diventato parte costitutiva dei nostri comportamenti e delle nostre categorie mentali.
Pubblicato il: 26.09.2024
Articoli, approfondimenti, notizie ed eventi di Accademia Unidee della Fondazione Pistoletto a cura di Marco Liberatore del Gruppo Ippolita