di: Bernard Stiegler
Con le reti digitali cosiddette “sociali”, ha fatto la sua comparsa un nuovo genere di economia, fondato su dati personali, cookies, metadati, tags e altre tecnologie di tracciabilità tramite le quali si realizza ciò che Thomas Berns e Antoinette Rouvroy hanno chiamato governamentalità algoritmica1. Sempre in questo contesto sono apparsi i big data – ossia le cosiddette tecnologie di calcolo intensivo2 – che mettono in atto procedimenti derivati dalle matematiche applicate al servizio del calcolo automatico, e sono al cuore di tale governementalità algoritmica.
Le tecnologie digitali della tracciabilità rappresentano lo stadio più avanzato di un processo di grammatizzazione che incomincia alla fine del Paleolitico superiore, a partire dal quale l’umanità apprende a discretizzare e a riprodurre secondo diversi tipi di tracce i flussi che la attraversano e che la generano: immagini mentali (iscrizioni rupestri), discorsi (scritture), gesti (automatizzazione della produzione), frequenze sonore e luminose (tecnologie analogiche di registrazione) e adesso comportamenti individuali, relazioni sociali e processi di transidividuazione (algoritmi di scrittura reticolare).
Tali tracce rappresentano delle ritenzioni terziarie ipomnestiche. Divenute digitali, esse sono oggi generate da interfacce, sensori ed altri dispositivi, nella forma di numeri binari costituenti i dati calcolabili che formano la base della società automatica, in cui ogni dimensione della vita costituisce un fattore funzionale di un’economia industriale divenuta di fatto iperindustriale da parte a parte.
I lineamenti dell’epoca iperindustriale appaiono quando le tecnologie analogiche dei mass media instaurano i processi di modulazione caratteristici di quanto Gilles Deleuze ha chiamato le società di controllo. Ma è soltanto quando il calcolo digitale integra questa modulazione nel senso della governamentalità algoritmica che la società iperindustriale si realizza del tutto come automatizzazione delle esistenze.
Con la rivoluzione conservatrice e la svolta neoliberale, la dissoluzione della vita quotidiana per come la descriveva Henri Lefebvre3 (la cui analisi fu ripresa da Guy Debord) conduce, nel corso dell’ultimo quarto del XX secolo, al regno della miseria simbolica4: il dispositivo dei media analogici e audio-visuali di massa è allora integralmente sottomesso al marketing strategico attraverso la privatizzazione delle emittenti di radio e televisione.
La miseria simbolica deriva dalla proletarizzazione della sensibilità, che incomincia agli inizi del XX secolo. Tale desimbolizzazione conduce alla distruzione strutturale del desiderio, cioè alla rovina dell’economia libidinale – e alla rovina dell’economia tour court, provocata dal marketing speculativo, pilotato direttamente dagli azionisti, divenuto egemonico nei primi anni Ottanta, e capace di sfruttare sistematicamente la pulsione, che si ritrova in tal modo disinvestita da qualsiasi affetto5.
La miseria simbolica procede dalla svolta macchinica della sensibilità6 che proletarizza il sensibile sottomettendo la vita simbolica all’organizzazione industriale di quel che diventa la “comunicazione” tra produttori professionali di simboli, da un lato, e consumatori proletarizzati e desimbolizzati – privati del loro saper-vivere – dall’altro. Le esistenze individuali e collettive vengono così sottomesse al controllo permanente dei mass media7 che cortocircuitano i processi di individuazione, di idealizzazione e di transindividuazione intessuti sul filo delle relazioni intergenerazionali che annodano il desiderio “legandovi” le pulsioni8.
Attraverso i processi di identificazione, di idealizzazione e di transindividuazione, si formano e si trasmettono i saper-vivere elementari che costituiscono le forme attenzionali9 alla base di ogni società. Queste metastabilizzano le capacità psico-sociali di legare le pulsioni, deviando il loro scopo in direzione degli investimenti sociali.
In quanto deformazione e deviazione industriale dell’attenzione che corto-circuita tali processi, la desimbolizzazione in cui consiste la miseria simbolica, imposta dal consumer capitalism, conduce necessariamente alla distruzione di qualsiasi investimento, e al conseguente annientamento dell’economia libidinale10.
L’oggetto che investe il desiderio è ciò che la libido economizza. L’oggetto è desiderato al punto di invertire gli obiettivi delle pulsioni che lo sostengono11 perché, così economizzato, cioè trattenuto, esso non solo esiste: consiste. E, in ciò, esso si infinitizza – nel senso che eccede ogni calcolo12. Proprio come la questione dell’eccesso nell’economia generale di Georges Bataille.
La distruzione simultanea del desiderio, dell’investimento nel proprio oggetto e dell’esperienza della sua consistenza ha come conseguenza la liquidazione di ogni affetto e di ogni fedeltà – e quindi anche di ogni fiducia, senza la quale nessuna economia è possibile –, e, infine, di ogni credenza e, dunque, di ogni credito13.
Nel 1905, Freud esplora nella perversione feticista ciò che più tardi chiamerà economia libidinale. L’amore – tutti lo sanno – è l’esperienza dell’artificio, nel senso più stretto e immediato: la feticizzazione dell’amato le è essenziale14. Quando l’amato non è più amato, l’artificialità dello stato amoroso ricade brutalmente nell’ordinario delle cose. Il desiderio, in quanto economizza il proprio oggetto, cioè in quanto se ne prende cura idealizzandolo e transindividuandolo (socializzandolo, cioè facendone un oggetto di relazioni sociali), è ciò che non appare che con l’artificializzazione della vita – vale a dire con quanto Georges Canguilhem descrive come vita tecnica […].
Nel momento in cui la vita, due o tre milioni di anni fa, si trova a passare in maniera essenziale dall’artificio non vivente (il che significa che essa non può più fare a meno delle sue protesi, fatto che caratterizza l’umano, come sottolineava già Rousseau15), si palesava quel che Aristotele chiama anima noetica, che desidera e che ama, cioè che idealizza – come insegna Diotima.
Quest’anima proietta così consistenze che sono oggetti di desiderio sublime. Così facendo, si infinitizza passando attraverso gli artefatti che sostengono questa economia libidinale – che è l’economia del noûs. È, in ciò, un’anima noetica. Noûs in latino si traduce con intellectus e spiritus: un’anima noetica è intellettiva e spirituale. Questo significa che è permanentemente ed essenzialmente abitata e posseduta dai revenants, dai fantasmi, dalle ossessioni e dalle apparizioni che supportano gli artifici in cui consistono gli organi artificiali di cui l’umano si ricopre […].
Attraverso i suoi artefatti, questa anima può generare tecnologie intellettuali tramite le quali essa accede all’intelletto nel suo aspetto analitico. L’anima spirituale non può essere infestata dagli spiriti (da ciò che ritorna e da coloro che ritornano) se non grazie al fatto che la vita tecnica, aumentando se stessa poeticamente, amplificando e intensificando così i propri poteri di sublimazione, si dota di una memoria artificiale transindividuale che rende possibile quanto Simondon chiama individuazione psichica e collettiva.
Nella vita noetica che prende forma attraverso l’economia libidinale, l’artificio non vivente conserva le tracce individuali e collettive di questa vita anche se, nell’economia biologica ancora non comandata dall’economia libidinale, tali tracce spariscono per sempre quando l’animale si estingue. L’economia biologica si designa, in Simondon, come individuazione vitale, la vita noetica formata dall’economia libidinale appartenente all’individuazione psicosociale.
Poiché essa non individua le proprie tracce, l’individuazione vitale non è ancora un’economia delle pulsioni deviate dall’investimento sociale: è un’economia dell’istinto che comanda i comportamenti animali con il rigore dell’automatismo16. Con la comparsa dei supporti artificiali feticizzabili, oggetti d’adorazione che caratterizzano l’anima noetica in quanto votata ai culti e rispettosa dei rituali, l’istinto si disautomatizza in modo relativo: può spostarsi, cambiare oggetto. Diviene rimovibile, come gli organi artificiali che supportano la feticizzazione, e in questo esso non è più, rigorosamente parlando, l’istinto, ma la pulsione.
In tal modo l’individuazione vitale lascia il posto all’individuazione psichica e collettiva, dove occorre continuamente contenere e trattenere tali pulsioni che, proprio poiché possono cambiare oggetto, sono dette “perverse”. Sono perverse perché sono strutturalmente rimovibili così come lo sono gli organi artificiali. Questo significa che esse sono strutturalmente feticistiche e “oggettuali”. In questa economia libidinale, che non è più semplicemente biologica ma anche tanatologica e organologica, la rimovibilità delle pulsioni indotte da quelle degli stessi artifici instaura un’economia dell’ambiguità che è rappresentata dal vaso di Pandora.
[…] Nell’epoca attuale, iperindustriale, che vedremo essere ormai un capitalismo assolutamente e totalmente computazionale – e ciò essenzialmente a partire dalla rivoluzione conservatrice intrapresa negli anni Ottanta –, quest’economia diviene strutturalmente una diseconomia libidinale, cioè una mancanza assoluta di cura per i propri oggetti.
In questa diseconomia, che diventa una dissocietà17, gli oggetti non possono più costituire dei supporti di investimento: non sono più infinitizzabili poiché sono diventati integralmente calcolabili, cioè totalmente vani. Divengono dei nulla: nihil. Il capitalismo integralmente computazionale è, in questo senso, il compimento del nichilismo. Con l’automatizzazione integrale e generalizzata, tale nichilismo computazionale, che è quanto strutturalmente è divenuto il capitalismo, sembra generare una nuova forma di totalitarismo.
Si tratta della minaccia che, più o meno sordamente, tutti ormai avvertiamo. Questo è il grande disagio che si prova ovunque nel mondo – a cominciare dal “blues du Net18” che affetta gli “hacktivisti” dopo la comparsa dei social networking. La diseconomia libidinale contemporanea assolutamente computazionale non economizza più i suoi oggetti e tramite questo distrugge e dissipa i suoi soggetti – che a loro volta si distruggono conformandosi alle prescrizioni automatiche del capitalismo computazionale […].
1 Th. Berns, A. Rouvroy, Gouvernementalité algorithmique et perspectives d’émancipation. Le disparate comme condition d’individuation par la relation?, “Réseaux”, Politique des algorithmes. Métriques du Web, n° 177, 20.
2 Chiamati anche data intensive scalable computation, grid datafarm architecture o petascale data intensive computing. Cfr. K. Kelly, The Google Way of Science, http://kk.org/thetechnium/2008/06/the-google-way/. Cfr. H. Lefebvre, Critica della vita quotidiana, volume primo [1947] Dedalo, Bari 1977; Critica della vita quotidiana, volume secondo [1961], Dedalo, Bari 1977; Critique de la vie quotidienne, tome 3, De la modernité au modernisme (Pour une métaphilosophie du quotidien), L’Arche, Paris 1981.
3 Cfr. H. Lefebvre, Critica della vita quotidiana, volume primo [1947] Dedalo, Bari 1977; Critica della vita quotidiana, volume secondo [1961], Dedalo, Bari 1977; Critique de la vie quotidienne, tome 3, De la modernité au modernisme (Pour une métaphilosophie du quotidien), L’Arche, Paris 1981.
4 Cfr. B. Stiegler, De la misère symbolique 1. L’époque hyperindustrielle, Galilée, Paris 2004; ripreso in De la misère symbolique, Flammarion, coll. “ Champs “, Paris 2013.
5 Cfr. B. Stiegler, De la misère symbolique 2. La catastrophè du sensible, Galilée, Paris 2005; ripreso in De la misère symbolique, nell’edizione Flammarion, cit.. Entrambi i volumi sono stati ripresi nell’edizione tascabile Champs di Flammarion, che verrà utilizzata come riferimento di seguito.
6 La posta in gioco di quanto abbiamo chiamato “rivoluzione industriale della musica” è al contempo economica, politica, estetica e organologica. Le questioni artistiche che ne risultano sono impensabili senza una critica di questa economia politica dell’insensibilizzazione o della desensibilizzazione in cui consiste un consumismo che è anche culturale. In un lavoro in corso, proverò a mostrare che la proletarizzazione è una posta primordiale nel lavoro “anartistico” di Marcel Duchamp.
7 La miseria simbolica e la rovina del desiderio hanno cause sia economiche che organologiche (De la misère symbolique, cit., p. 314. Sul concetto di organologia, cfr. il Vocabulaire d’Ars Industrialis, in Pharmacologie du Front national, cit., p. 419): gli strumenti di cattura dell’attenzione messi in atto dalle industrie culturali, a loro volta al servizio del modello consumista, all’inizio del XX secolo sotto il controllo del marketing corto-circuitano i saper-vivere dei consumatori e li proletarizzano così come i corto-circuiti avevano proletarizzato i produttori nel XIX secolo. La cattura industriale dell’attenzione comporta anche la deformazione dell’attenzione: 1) l’attenzione si forma nel corso dell’educazione tramite processi di identificazione (primaria e secondaria) che costituiscono le relazioni intergenerazionali nel cui alveo si elaborano i saper-vivere; 2) allevare un bambino, significa tramettergli singolarmente un saper-vivere che egli trasmetterà, a sua volta singolarmente, – ai suoi compagni, amici, parenti, progenie e discendenti, vicini o lontani; 3) quel che si forma quindi per tutte le strade dell’educazione – tra cui l’insegnamento – è proprio ciò che la cattura industriale dell’attenzione deforma sistematicamente.
8 S. Freud, Al di là del principio di sapere, in Id., Sigmund Freud Opere, Volume 9, L’io e l’Es e altri scritti. 1917-1923, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 193-249, p. 194.
9 Sul concetto di forma attenzionale, cfr. B. Stiegler, États de choc. Bêtise et savoir au XXIe siècle, Mille et une nuits, Paris 2012, seconda parte, pp. 246 e ss.
10 Durante la seconda metà del XX secolo, la cattura industriale dell’attenzione si fa via via più precoce, essendo il tempo di cervello disponibile giovanile il cibo privilegiato dei mass media audiovisuali degli anni Ottanta – in Francia, attraverso le radio considerate allora periferiche (per esempio, la trasmissione “Salut les copains”, su Europe1) – e oggi con Skyrock, benché, dopo la fine del secolo, è il tempo di cervello disponibile infantile quel che si prende di mira e che viene distolto dal suo ambiente affettivo e sociale, attraverso ogni sorta di programmi e di canali specializzati (ad esempio, Canal J e Baby First) – ho analizzato tali questioni più dettagliatamente in Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni, Orthotes, Napoli-Salerno 2014, nel primo capitolo.
11 S. Freud, L’Io e l’Es, in Id., Sigmund Freud Opere, Volume 9, L’io e l’Es e altri scritti. 1917-1923, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 471-520, capitolo 4, p. 502.
12 Cfr. su questo aspetto, B. Stiegler, Mécréance et discrédit 1. La décadence des démocraties industrielles, Galilée, 2004, p. 125.
13 L’oggetto del desiderio suscita una credenza spontanea nella vita che, tramite esso, si presenta come la sua potenza extra-ordinaria. Ogni amore è fantasmatico nel senso in cui dà vita a ciò che non è – a ciò che ordinariamente non è. Ma poiché la fantasia dell’amante, e di ciò che Abdelkebir Khatibi nominava l’aimance, al di là di ciò che separa l’amore e l’amicizia (Abdelkebir Khatibi, Aimance, éditions Al Manar, Neuilly-sur-Seine 2004), è proprio ciò che assegna alle civiltà le loro forme più durevoli, il sentimento letteralmente fantastico in cui consiste l’amore è l’incarnazione di un sapere dell’extra-ordinario della vita, che incessantemente supera la vita – tramite cui la vita inventa (Toujours la vie invente è il titolo di un opera di Gilles Clément, Editions de l’Aube, La Tour-d’Aigues 2008) procedendo al di là della vita, e come proseguimento della vita con altri mezzi rispetto alla vita: mediante incessante profusione ed evoluzione più vive degli artifici.
14 “Il sostituto per l’oggetto sessuale è una parte del corpo […] o un oggetto inanimato […]. Questo sostituto viene non a torto paragonato al feticcio, nel quale il selvaggio vede incarnato il suo dio […]. Un certo grado di un tale feticismo è […] proprio dell’amore normale”, S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, in Id., Id., Sigmund Freud Opere, Volume 4, Tre saggi sulla teoria sessuale. 1900-1053, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 441-546, p. 467.
15 Cfr. J.-J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, Feltrinelli, Milano 1992, p. 39 e ss.
16 Su questo tema, cfr. in particolare J. Bowlby, Attachement et perte, PUF, 3 volumes, Paris 2002, 2006 e 2007 e A. Gelhen, Anthropologie et pychologie sociale, PUF, collection Philosophie d’aujourd’hui, Paris 1990.
17 Cfr. J. Généreux, La Dissociété, cit.
18 Su questo, cfr. la mia intervista con Dominique Lacroix, Le blues du Net, <http://reseaux.blog.lemonde.fr/2013/09/29/blues-net-bernard-stiegler>.
Pubblicato il: 25.09.2020
Articoli, approfondimenti, notizie ed eventi di Accademia Unidee della Fondazione Pistoletto a cura di Marco Liberatore del Gruppo Ippolita