Utopie dell’uomo comune e altri sogni a occhi aperti – Ernst Bloch

Un sogno a occhi aperti è l’arsenale di ogni anticipazione politica, di ogni pre-apparizione artistica, la base e il fondamento della produzione artistica, dell’affetto che qui è all’opera: la speranza

di: Ernst Bloch

Pubblichiamo un estratto dal libro Speranza e utopia di Ernst Bloch, edito da Mimesis Edizioni che ringraziamo per la possibilità concessa. Il brano qui riportato è la prima parte di una conversazione avuta con Gert Ueding.

 

 

Domanda Quando si parla del sogno, si pensa in genere al sogno notturno. È nota anche l’espressione “sogno a occhi aperti”. Che cosa s’intende con questo? C’è una relazione tra il sogno notturno e il sogno a occhi aperti o si tratta di una contraddizione?

 

Bloch – La differenza, in un ambito così oscuro, non è immediatamente evidente. Potrei anche dire che non è ben illuminata. Riflettendo un poco è possibile, tuttavia, constatare una differenza essenziale.

Anche se i vecchi sogni (cioè i sogni notturni) – rischiarati, studiati e analizzati nella cosiddetta interpretazione dei sogni – avevano un riferimento al futuro, erano cioè profetici e non promettevano solo sventura, ma anche fortuna, il materiale da cui derivavano restava, senza eccezione, il passato. Sigmund Freud, nell’Interpretazione dei sogni, ne ha fornito il primo esauriente studio. Egli ha mostrato che nel sogno notturno ciò che era inconscio o subconscio, o comunque dimenticato e rimosso, veniva a esprimersi o a raffigurarsi come un appagamento del desiderio senza censura morale. In ogni caso, si trattava sempre di passato.

La psicoanalisi è rivolta all’indietro, ricerca il rimosso, disseppellisce. Lo scavo più estremo lo ha poi tentato Carl Gustav Jung, convinto che nel sogno notturno e nell’inconscio freudiano non compaiono solo vissuti dimenticati, l’angoscia del parto e cose simili, ma, procedendo a ritroso, addirittura fino al diluviano, vengono alla luce archetipi di 500.000 anni fa. Ritornò così a nuova vita la magica notte al chiaro di luna del Romanticismo, senza però raggiungere il suo significato poetico. Affiorarono tuttavia anche “il sangue e il suolo”, l’antica disciplina e i vecchi costumi furono restaurati – del futuro non si sentì più parlare. La differenza tra il sogno notturno e il sogno a occhi aperti è pertanto chiaramente definita da due categorie essenziali: il sogno notturno è la riproduzione del non-più-conscio, di qualcosa che è stato dimenticato o rimosso, ma in passato è stato conscio e lo è stato chiaramente nell’evolversi della vita – non ancora nell’angoscia e nel trauma del parto, ma nell’evolversi della vita, negli avvenimenti trascorsi che non sono stati interpretati né analizzati. Il sogno a occhi aperti invece è essenzialmente rivolto a una vita migliore nel futuro, declinata per lo più in termini individuali. Esso è un compimento del desiderio in senso proprio, in quanto si verifica qualcosa che ancora non esiste e viene desiderato e anticipato senza alcuna censura morale.

Porto ad esempio i piccoli sogni diurni (che ho esposto nel Principio speranza nel capitolo sull’anticipazione). Prendiamo il caso di un impiegato, un pover’uomo avvilito, che torna a casa dall’ufficio dopo una dura giornata di lavoro. Quello che sogna mentre rincasa va ben al di là della coscienza morale ordinaria. “Che ne sarebbe se ammazzassi mia moglie? E se potessi sposare Mariella? E se il capo morisse e prendessi in mano l’azienda? Che ne sarebbe se, se, se…?”. Questi sono tutti piccoli sogni, meschine utopie private di contenuto egoistico, proiettate in un futuro assolutamente inautentico, un futuro che appare tale soltanto a lui, ma in realtà non è altro che la vita com’è stata finora, solo più soddisfacente.

La falda del sogno a occhi aperti non si esaurisce però qui; ne fanno parte anche gli archetipi del tempo antico, poiché c’è un futuro del passato che non è divenuto. Il futuro nel passato può essere ancora da realizzare e può diventare anche oggetto di un sogno a occhi aperti di tipo utopico. La presa della Bastiglia, ad esempio, La libertà che guida il popolo di Delacroix, sono tutti sogni a occhi aperti del passato, che però intendono un che d’irrisolto, sono rivolti ai nipoti che porteranno a miglior fine la battaglia. Siamo di fronte a utopie che non sono più private e neppure abbarbicate esclusivamente al passato, per quanto la danza sulle rovine della Bastiglia sia un archetipo antichissimo: alla danza dei beati nei Campi Elisi manca solo la Bastiglia. La cosa importante è però che un sogno a occhi aperti è, o può essere, l’arsenale di ogni anticipazione politica, di ogni pre-apparizione artistica, la base e il fondamento della produzione artistica, dell’affetto che qui è all’opera: la speranza, e precisamente la speranza come affetto e la speranza come guida alla conoscenza migliore. Docta spes, come l’ho chiamata, ovvero utopia concreta, non visionaria o lambiccata, nulla di trasognato o di estasiato nel comune senso spregiativo, bensì mediata con la realtà, poiché nella realtà esiste un correlato del non-ancora-conscio, che non è la stessa cosa del non-più-conscio, dell’inconscio tout court, in quanto non è mai stato né cosciente né reale, ma non per questo è fuori dal mondo, cioè dal mondo della possibilità reale.

L’ambito del sogno a occhi aperti arriva quindi a toccare il problema dei contenuti della speranza, di una vera e propria enciclopedia della speranza. L’autentico sogno a occhi aperti non ha infatti più bisogno di chiamarsi così, perché spinge a chiedersi: “Sì, ma come fare? Come si può realizzare il sogno? Come può questa utopia concreta illuminare il mio passo, farmi camminare e non soltanto sognare, agire e non soltanto contemplare?”. Il punto di partenza è capire finalmente che non esiste solo l’inconscio come non-più-conscio, ma anche un tipo di inconscio che è un non-ancora-conscio, e in tutti i tempi di svolta – e noi viviamo in un tempo siffatto, di crisi estrema perfino! – non è soltanto nell’aria, ma è qualcosa di cui la nostra società è gravida. Sogno a occhi aperti e utopia, in quanto utopia concreta, generano dunque, per così dire, una filosofia della gravidanza al massimo livello.

 

DomandaLa differenza rispetto a Freud – che pure conosceva il sogno diurno, il “piccolo sogno a occhi aperti” come lei l’ha descritto, definendolo esplicitamente come stadio preparatorio, materiale del sogno notturno – starebbe dunque nel fatto che nel sogno a occhi aperti l’Io resta costantemente vigile e si ha coscienza di quel che si sogna; in tal modo si resta in contatto con la realtà, non si diventa succubi del sogno, ma lo si dirige ecc.?

Bloch – Aggiungerei che, in certe condizioni, il sogno a occhi aperti spinge la nostra volontà di cambiamento, anche se per lo più non si tratta che di un piccolo cambiamento d’ordine privato, che non va al fondo delle cose. Il signor Müller o il signor Schulze (prendo questi nomi solo per la loro larga diffusione) e Lenin o – facendo un grande salto – Gesù Cristo, possono aver avuto sogni diversi a occhi aperti, che però hanno in comune l’anticipazione – non solo nel sogno, ma anche nei pensieri, che non sono fantasticherie, ma sono ben desti – e riguardano ciò che non è ancora, verso cui però esiste una tendenza e nella realtà una latenza.

 

DomandaIl che assegnerebbe al sogno diurno una collocazione ben precisa nel campo della coscienza utopica, quella di un modello di ciò che l’individuo utopicamente vorrebbe essere e diventare, di ciò che vorrebbe mettere in atto.

Bloch – E di ciò che potrebbe essere il mondo in cui l’individuo vive – non solo l’individuo, ma anche il suo ambiente, le condizioni politico-sociali.

 

DomandaPartendo dai fotoromanzi con il loro happy end, passando per Hänsel e Gretel, le fiabe, i sogni geografici, tale modello si estenderebbe fino a comprendere i progetti di futuro di tipo politico, come ad esempio in Moro e Campanella?

Bloch – Sì, ma non finisce qui. Nel Principio speranza ho cercato in primo luogo di chiarire il concetto di utopia concreta, distinguendola dal mero wishful thinking, dal vuoto sognare, e in secondo luogo di mostrare che le utopie politico-sociali sono la casa madre dell’utopia. L’utopia è iniziata – almeno nella sua più grande e più antica apparizione – con Platone, è proseguita con Tommaso Moro, Campanella, Saint-Simon ecc. fino a giungere al marxismo, che non è affatto una non-utopia, bensì il Novum di un’utopia concreta, il che fa una grossa differenza, mantenendo tuttavia una profonda affinità.
Lei ricorda le belle e istruttive parole tanto di Lenin quanto di Marx. “Il mondo possiede da molto tempo il sogno di una cosa”, scrive Marx a Ruge negli anni Quaranta del secolo scorso, aggiungendo che occorre solo averne coscienza per possederla realmente e agire di conseguenza. E Lenin, peraltro partigiano di una Realpolitik estrema, afferma: “Si sogna troppo poco nel nostro movimento”.

 

Domanda“Di sogni così ce ne sono disgraziatamente troppo pochi nel nostro movimento, e la colpa è di coloro – scrive Lenin – che si vantano di quanto sono sobri e aderenti al ‘concreto’. Costoro sono i rappresentanti della critica legale e della politica non legale del ‘codismo’”.

Bloch – D’altro canto vorrei ribadire che non ci sono solo le utopie sociali, ossia le cosiddette “favole politiche” – l’Utopia di Tommaso Moro e La città del Sole di Campanella, così come gli scritti più tardi di Owen, Fourier, Saint-Simon. Ci sono anche le utopie tecniche, la cui prima grande apparizione è la Nuova Atlantide di Bacone. Ci sono le utopie geografiche: dov’è la via del mare verso l’India, dove si trova quella terra lontana? E dov’è la terra del Sud, dove fa sempre caldo?

 

DomandaL’Eldorado, per esempio.

Bloch – Già, l’Eldorado. Colombo certamente inseguiva il paradiso terrestre, era questo che voleva trovare. Gli uomini non possono più accedervi, ma il paradiso esiste ancora. L’Eldorado ne fa parte.
Perfino l’interesse economico e l’immaginario interesse utopico andavano a braccetto: nel paradiso biblico infatti ci sono quattro fiumi che trasportano oro e pietre preziose intercettabili alla foce, per cui la cosa si faceva molto interessante. Il giardino dell’Eden e l’Eldorado, “la terra dell’oro”, vengono quasi a identificarsi. Ci sono anche le utopie religiose e soprattutto le utopie artistiche, dove si mette in scena un mondo attraversato dai conflitti, in cui le cose si vedono più chiare e si palesa la pre-apparizione di un avvenire umano e sociale. Qui però si continua a pagare in contanti e fino in fondo, seppure in forma di tragedia. L’eroe tiene duro, adempie il suo compito e tutti gli ostacoli trovano un senso nel suo agire.
La più potente utopia nell’arte è probabilmente la musica. Senza dimenticare la religione, che è fondata quasi esclusivamente su immagini del desiderio. “Esclusivamente” magari è esagerato, perché c’è una quantità di ipostasi e di ideologie trasposte nei rapporti di forza e di potere terreni affinché le autorità continuino a tenere in mano la spada di Dio. Bisogna però aggiungere che la religione non è soltanto la rappresentazione di un tribunale giudiziario, sempre o per lo più sfruttata a vantaggio della classe dominante, ma anche il sogno di una cosa trasferita nell’aldilà, analogamente allo Stato perfetto collocato in una magnifica isola del Sud. Qui c’è un’immagine del desiderio, un sogno, una produttività del sogno con un materiale straordinariamente istruttivo.

 

DomandaI “beni dilapidati in cielo” di cui parla Feuerbach hanno dunque avuto un carattere esplosivo nelle religioni, nelle ideologie, nelle mitologie – hanno rappresentato una tendenza sovversiva, ad esempio, la Bibbia nel Cristianesimo.

Bloch – Quei “beni dilapidati” vengono recuperati e sotto questo aspetto fanno ancora una bella differenza rispetto alla solita ideologia.
L’ideologia designa una somma di immagini ideali che trasfigurano e giustificano la società esistente. L’utopia è invece un insieme di immagini ideali che intendono far saltare lo stato attuale della società. In tutte le utopie sociali scompaiono infatti la proprietà privata e i rapporti di produzione: a parte qualche rara eccezione, in tutte le utopie non c’è più né servo né padrone. L’immagine del desiderio fa saltare la società esistente e le dà parecchio filo da torcere. Solo che non è stata collocata sul piano della realtà e perciò è rimasta un’utopia astratta.

 

DomandaMa anche questa ha carattere di modello, nella misura in cui istituisce una nuova organizzazione della società, un’organizzazione sociale riconosciuta come giusta, fornendo un modello critico per la società di volta in volta esistente. Sotto questo aspetto esiste un rapporto, sia pure negativo, con questa realtà.

Bloch – Certo che esiste. Le utopie, infatti, non nascono dal niente, né storicamente sono sempre possibili, ma hanno un loro tempo; esiste una tabella di marcia dell’utopia. Un’utopia, come quella di Tommaso Moro, che rappresenta l’utopia del liberalismo inglese nella perfezione sognata, oppure, cent’anni dopo, La città del Sole di Tommaso Campanella, che era il contrario dell’utopia liberale di Tommaso Moro, mostrano entrambe una dipendenza dal proprio tempo. Quella di Tommaso Moro, è sorta nel XVI secolo in Inghilterra, l’altra nel XVII secolo nell’Italia meridionale; l’una ci dà l’anticipazione del liberalismo inglese, nonché del cosiddetto colonialismo di allora nella sua versione liberale, l’altra è l’ideologizzazione del dominio spagnolo sul mondo.
In Tommaso Moro la luce dell’utopia è la libertà, mentre in Campanella è l’ordine, l’ordine totale. Sono due visioni totalmente opposte che hanno certamente un rapporto con l’ideologia, ma non coincidono con essa, perché l’ordine di Campanella, nonostante tutto, non è quello del re Filippo nel Don Carlos, e la libertà in Tommaso Moro a maggior ragione non è la libertà di cui parla il conservatore inglese di oggi.

 

DomandaSi può dire allora che, nonostante la loro astrattezza, in queste utopie è implicito un indubbio significato politico, in quanto non intendono confermare e rafforzare la società dominante, bensì anticipare una nuova classe sociale e fornirle una legittimazione.

Bloch – Sì, magari una classe di amabili fanciulli, che abbia le sembianze di una società senza classi. Ecco allora, in Tommaso Moro, l’isola felice del Sud, dove la natura è talmente benigna e ricca che non c’è più bisogno di sforzo umano, cioè di un particolare lavoro, tantomeno di tecnocrati. I frutti crescono spontaneamente, la terra è a disposizione di tutti. La terra non appartiene a nessuno, i suoi frutti sono un bene comune: questo si legge nell’Utopia di Tommaso Moro.
Una società senza classi, dunque, ingenua e basata innanzitutto sul presupposto di una natura infinitamente buona, con un costante richiamo alla memoria della mitica essenza del paradiso, dove tutto era buono, prosperava e c’era tutto ciò che serviva. Un verso che viene dalle guerre contadine ed è un puro distillato di utopia recita: “Quando Adamo vangava e Eva filava, dov’era il nobiluomo?”.
Occorre ritrovare questa condizione, che pure esiste da qualche parte nel lontano mare del Sud, su un’isola felice. In controfigura rispetto all’isola felice è l’Inghilterra che viene criticata.

 

Ernst Bloch, Speranza e utopia