L’apprendista stregone

L’apprendista stregone è il soggetto la cui razionalità si riduce alla dimensione mezzo-scopo e che fatalmente si lascia sfuggire il controllo degli strumenti con cui doveva migliorare la qualità della vita

di: Francesco Monico

Pubblichiamo un estratto da Fragile. Un nuovo immaginario del progresso, il libro di Francesco Monico appena dato alle stampe dall’editore Meltemi.

 

FRAGILE Dal lat. fragĭlis, der. di frangĕre “rompere”
e fragmentum rotto, ovvero ciò che si può rompere
e di cui restano i frammenti. Diventa anche
sinonimo di sensibile: in momenti di particolare
tensione si è molto fragili davanti ai fallimenti.
La sensibilità in sé è una forma di intelligenza, che si
manifesta come un valore che, per non diventare
una debolezza, ha bisogno di essere difeso.
Il fragile richiama un’attenzione urgente.

 

Il compito dei progressisti è commettere
errori; quello dei conservatori è di impedire
che vengano emendati”.
G.K. Chesterton

 

Incomincia con una lenta introduzione, che, con le energie del vapore, dell’elettricità e dei meccanismi delle macchine industriali, raffigura le forze della natura imbrigliate dallo stregone. Un colpo di timpani cambia la scala della situazione e apre l’azione con il celebre tema principale che ci sembra familiare, perché non è altro che il tema delle macchine proposto a una maggiore velocità. Di lì in avanti, alternando o sovrapponendo il tema ad altro materiale, si susseguono variazioni timbricamente sempre più eccitanti, arrestate da una pausa temporanea nella quale si ripetono in evidenza le prime note. Dopo pochi istanti, però le declinazioni del tema riprendono nuovamente, lanciate nella loro corsa in un fugato di grande efficacia, sino a che la ripresa del tempo lento dell’introduzione annuncia il ritorno dello stregone che ha dato vita alle macchine1 .

Questa spiegazione non è quella comunemente usata per la sinfonia l’Apprendista Stregone di Paul Dukas, ma riprende comunque l’immaginario reso celebre dall’episodio di Fantasia di Walt Disney2 dove Micky Mouse perde il controllo della sua stessa ingenua magia ed è calzante con i giorni d’oggi dove macchine mirabolanti si sono affacciate nell’immaginario globale e sono dappertutto intorno a noi nel progresso incessante di una tecnica sempre e comunque nuova.

L’apprendista Stregone è il titolo di una ballata del 1797 di Johann Wolfgang Goethe, ispirata a “L’amante del falso”, un episodio del Philopseudes del retore greco-siriano Luciano.

Racconta di uno stregone che si assenta dal suo studio raccomandando all’apprendista di fare le pulizie. Quest’ultimo copia un incantesimo del maestro per dare vita a una scopa affinché compia il lavoro. La scopa diventa un automa che continua a rovesciare acqua sul pavimento, come le è stato ordinato, fino ad allagare le stanze; quando si rende conto di non sapere come fermare l’incantesimo, l’apprendista spezza la scopa con un’accetta, col solo risultato di tramutare i monconi in una moltitudine di scope-automi che continuano il lavoro. Solo il ritorno del maestro stregone rimedierà al disastro.

La morale della ballata è semplice: meglio non cominciare qualcosa che non si sa come finire. Nel lessico comune fare l’apprendista stregone indica l’applicare metodi che non si è in grado di padroneggiare. La figura dell’apprendista stregone si può quindi considerare anticipatrice di quella del tecnologo radiale, personaggio tipico della narrativa e del cinema popolare del Novecento come il personaggio del Dottor Stranamore dell’omonimo film di Stanley Kubrick, un suprematista occidentale convinto di rappresentare la migliore delle culture possibili e che per questo appoggia l’irradiazione nucleare che sa come far iniziare, ma, appunto, non come far finire.

Fu Karl Marx per primo a utilizzare la metafora dell’“Apprendista Stregone” che non sa dominare gli spiriti che ha evocato. Il pensatore di Treviri la riferisce alla borghesia industriale tutta imbevuta di progresso e globalizzazione dei mercati. Riteneva che la borghesia avesse creato un sistema di produzione così imponente da non riuscire più a controllarlo, infatti tale sistema era soggetto periodicamente a crisi di sovrapproduzione. “La moderna società borghese, che ha evocato come per incanto così colossali mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo stregone che si trovi impotente a dominare le potenze sotterranee che lui stesso abbia evocate”, scriveva Marx nel Manifesto del Partito Comunista.

Così la borghesia industriale, attraverso la tecnica, ha determinato, in misura sempre maggiore, ogni ambito della vita dell’uomo. Mezzi che sono stati pensati per migliorare la qualità della vita umana si sono trasformati in fini che hanno nel mero potenziamento il télos della loro esistenza.

Dall’avvento della meccanica fino alle tecnologie digitali, la borghesia industriale si è trasformata in un mezzo che partecipa a questa mutazione. L’individuo non si trova che in un punto casuale del disporsi di apparati, di fronte a cui assume la postura di un attore passivo, mentre questi stessi apparati decidono tutto ciò che di fondamentale incontra nella vita: dal divertimento alla comunicazione, dal rapporto con la natura alle disuguaglianze sociali, dall’alimentazione alla coscienza di sé, per non parlare della politica. È l’apprendista stregone un soggetto che si lascia sfuggire il controllo di quegli strumenti con cui doveva realizzare l’incantesimo.

In parziale aiuto arriva la filosofia, che da centocinquanta anni si è trasformata in Cassandra e ha lanciato i suoi epigoni – da Marx a Nietzsche, da Gentile a Severino, da Heidegger ad Adorno ad Anders, McLuhan, Pasolini, Ellul, Foucault, Virilio, Baudrillard, Sloterdijk, Stiegler – a districare l’inestricabile trama costruita dal pensiero tecnico.

Un pensiero che, in modo emblematico, racchiude tanto l’aspetto progressivo che quello regressivo dell’Illuminismo e che, attraverso questa stessa trama, ha reso egemone l’idea di un progresso sostanzializzato nella relazione dell’Occidente con il suo alter ego: il mercato globale. Ma è sempre e comunque la figura dell’apprendista stregone a svelarci come i destini dell’essere umano siano implicati; è il carattere regressivo dell’Illuminismo come dominio planetario della tecnica a svelarci l’incantesimo che in nessun modo è possibile fermare con la considerazione relativa alla neutralità delle scope magiche.

Il pensiero scientifico moderno viene recuperato dall’invenzione della tecnica della stampa a caratteri mobili a metà del XV secolo, implicato nella cultura del XVI secolo, fiorisce nel XVII secolo, viene reso pensiero politico nel XVIII secolo e codificato metodo nel XIX secolo. La scienza occidentale giunse a maturazione durante l’epoca dell’espansione coloniale del mercantilismo europeo e pur se ha un debito con gli immaginari della Grecia classica, della Cina, dell’India e dell’Islam, la scienza occidentale è l’unica che è diventata dispositivo egemone di ogni pensiero. La Cina, l’Oriente e il mondo islamico produssero menti geniali, ma nessuna di esse si fece pensiero unico come in occidente. Nulla che si avvicina alla totalizzante visione di Newton e di Darwin. In questo senso l’immaginario del progresso è legato all’espansione coloniale e a un vero e proprio imperialismo del sapere; infatti la scienza moderna rappresenta il surriscaldamento delle tendenze empiriche del pensiero greco3.

Si realizza in questo arco di tempo l’endiade tecnica/tecnologia: la tecnica diventa la forma più alta di razionalità raggiunta dall’uomo, mentre la tecnologia diventa l’insieme degli strumenti che sono a nostra disposizione. Una razionalità che riduce l’esperienza umana alla dimensione mezzo-scopo che consiste nel raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi. Una razionalità chiamata “ragione strumentale”4, il cui unico scopo è l’espansione indefinita della sua potenza.

La terra ha assistito allo sviluppo inusitato delle capacità umane. Se un mercante veneziano del XIII secolo con la sua nave fosse entrato in un sonno causato dal canto delle sirene risvegliandosi poi in pieno XVI secolo, avrebbe sì scoperto che la terra era quindi composta anche dall’America (1492) e dal Brasile (1500), e che il globo era circunavigabile (1521), ma il giro del mondo gli avrebbe rivelato un territorio pressoché uguale a quello che aveva lasciato cinquecento anni prima. Ma se la rugiada di Morfeo avesse avvolto il mercante nel XVI secolo, lasciandolo addormentato per i successivi cinque secoli, egli si sarebbe svegliato allo sfrecciare di un jet supersonico mentre dei turisti in camicia di nylon tattico rispondono ai loro cellulari, chattano sui social media, in questo caso si sarebbe sentito alieno in un mondo sconosciuto.

Nel 1500 la popolazione umana mondiale era di 500 milioni di individui, quindi un’enorme accelerazione si è verificata con la rivoluzione industriale. La popolazione dell’Homo sapiens5 ha impiegato 200.000 anni, fino all’anno 1800 per raggiungere un miliardo di individui, poi il secondo miliardo è stato raggiunto in soli 130 anni, ovvero nel 1930, il terzo miliardo in meno di 30 anni, quindi nel 1959, il quarto miliardo in 15 anni nel 1974, il quinto miliardo in 13 anni nel 1987, il sesto miliardo in 12 anni nel 1999 e il settimo miliardo in altri 12 anni nel 2011.

Nel corso solo del XX secolo la popolazione del mondo è cresciuta da un miliardo a sei miliardi. Si stima che ad aprile 2019 la popolazione mondiale abbia raggiunto la soglia di 7,7 miliardi di abitanti e che cresca a un tasso di circa il 1,11% all’anno. Si prevede quindi che raggiunga gli 8 miliardi entro il 2024, e che possa raggiungere 10 miliardi di persone nel corso dell’anno 20566.

Questo valore di crescita fuori scala ha prodotto una massa, nel senso “fisico” di una proprietà che determina un comportamento, che è implicata nella Dichiarazione del diritto allo sviluppo: “Il diritto allo sviluppo è un diritto inalienabile dell’uomo in virtù del quale ogni essere umano e tutti i popoli hanno il diritto di partecipare”7. Gli storici dell’economia hanno stimato che il valore dei beni e dei servizi totali nel XVI secolo fosse più o meno sui 250 miliardi di dollari parametrati sui valori attuali8. Nel 2015 il valore dei beni e dei servizi è stato stimato maggiore di 70.000 miliardi di dollari9. La popolazione è aumentata di 14 volte e la produzione è aumentata di 240 volte. Nel 1762 Adam Smith sostenne che la ricchezza delle nazioni fosse la proprietà. Nel 1816 Hegel scriveva che la ricchezza non sono i beni, ma gli strumenti, perché i beni si consumano mentre gli strumenti producono i beni.

Hegel aggiunge poi a questo un decisivo secondo ragionamento, che consiste nell’avvertire che “se un fenomeno aumenta quantitativamente non assisteremo solo a un aumento quantitativo del fenomeno, ma questo aumento quantitativo determinerà una variazione qualitativa radicale del paesaggio”10, cioè l’aumento della quantità trasforma la qualità del territorio.

L’esempio è molto semplice: di un terremoto di due gradi della scala Mercalli neanche ce ne accorgiamo, con uno di nove gradi cambia il paesaggio, la quantità decide della qualità. Questo argomento è stato assunto da Marx, il quale lo applicò all’economia politica e sostenne che il denaro è un mezzo per conseguire dei fini, ovvero soddisfare i bisogni e per produrre beni, però se aumenta quantitativamente, e aumenta la condizione universale per soddisfare qualsiasi bisogno e produrre qualsiasi bene, non è più un mezzo, ma il primo fine per ottenere il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre beni. Questo processo si chiama eterogenesi dei fini, e fu teorizzato la prima volta da Giovanbattista Vico.

L’ipotesi è che la tecnica, dai tempi classici, sia aumentata quantitativamente e sia oggi la condizione dominante per la realizzazione di qualsiasi scopo, per questo oggi la tecnica, surriscaldandosi, non sia più un mezzo, ma il primo fine che tutti vogliono e che subordina a sé quelli che in precedenza erano considerati gli scopi.

 

 

1 Il compositore francese Paul Dukas ricavò l’impianto di un poema sinfonico dalle movenze dello scherzo, nel tempo estremamente rapido di 3/8, e con le armonie create a partire dalla scala esatonale per suggerire un clima tenebroso e misterioso. Un primo leitmotiv caratterizzante lo stregone aleggia periodicamente per tutto il brano. Un secondo tema, che allude all’apprendista stregone, è introdotto gradualmente per brevi incisi melodici e solo intorno alla metà della partitura, enunciato dal fagotto come un tema di fuga, esprime un andamento di goffa baldanza che lo rende riconoscibile in tutto il resto del brano.

2 Disney non fu il primo a ri-mediare la storia dell’Apprendista Stregone. Già Sidney Levee aveva realizzato il film The Wizard’s Apprentice nel 1930 da un adattamento di Hugo Riesenfeld. L’anno successivo, Oskar Fischinger realizzò Studie Nr. 8 (1931) comprendente la versione di Paul Dukas e qualche anno dopo una compagnia francese di film realizzò una propria versione del Der Zauberlehrling. Ma l’apprendista stregone diventa un riconosciuto contenuto della cultura di massa nel 1940: quando il pezzo è scelto come parte del film Fantasia di Walt Disney e Leopold Stokowski, il celebre direttore registra il brano con alcune sovraincisioni, per ottenere l’effetto sterofonico, all’epoca pionieristico.

3 Il concetto di surriscaldamento deriva dagli Strumenti del Comunicare di Marshall McLuhan e sta a significare la dinamica per cui un mezzo, in questo caso un immaginario, si fa totalizzante del pensiero e della sfera sensoriale. Il termine è legato al concetto di temperatura dei media laddove il caldo è un mezzo che non implica interpretazione da parte del soggetto, mentre freddo è il mezzo che richiede un completamento da parte del soggetto. In questo senso il pensiero empirico greco, assieme all’abbandono della Natura del Cristianesimo e alla stampa a caratteri mobili hanno creato un surriscaldamento che ci ha portato a pensare solo in termini di pensiero calcolante e mente tecnica.

4 Da Adorno, Horkheimer, Markuse, ovvero la scuola di Francoforte.

5 La data esatta dell’apparizione del primo uomo moderno, appartenente cioè alla nostra specie Homo Sapiens Sapiens, è alquanto controversa. Oggi ricerche pubblicate su Nature trovano una data molto precisa, grazie a rocce e artefatti databili con precisione. Secondo gli autori, tra cui Tim White (il famoso scopritore di Lucy), i crani trovati a Herto in Etiopia, nella valle dell’Afar, hanno tra i 154.000 e i 160.000 anni. Tuttavia per convenzione si usa la datazione dei 200.000 anni.

6 United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division, 29 July 2015.

7 Declaration on the Right to Development, General Assembly Resolution 41/128, 4 December 1986.

8 http://www.theworldeconomy.org/.

9 Gross domestic product, IMF World Economic Outlook, April 2016, Retrieved 14 April 2016.

10 Hegel, Fenomenologia dello spirito, traduzione di Enrico De Negri, La Nuova Italia, Venezia 1960, Par 11. “Ma a quel modo che nella creatura, dopo lungo placido nutrimento, il primo respiro – in un salto qualitativo interrompe quel lento processo di solo accrescimento quantitativo, e il bambino è nato; così lo spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova figura e dissolve brano a brano l’edificio del suo mondo precedente; […]. Questo lento sbocconcellarsi che non alterava il profilo dell’intero, viene interrotto dall’apparizione che, come un lampo, d’un colpo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo”.